"From Ground Zero": il grido di Gaza in corsa per gli Oscar
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"From Ground Zero": il grido di Gaza in corsa per gli Oscar

Con From Ground Zero del regista regista palestinese Rashid Mashawari, Michael Moore vuole portare agli Oscar il genocidio di Gaza

From Ground Zero - prodotto da Rashid Masharawi - Michael Moore - candidato Oscar - recensione di Alessia de Antoniis
From Ground Zero - prodotto da Michael Moore
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17 Gennaio 2025 - 21.13


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di Alessia de Antoniis

“Sono onorato di informarvi che il brillante film From Ground Zero, è stato recentemente votato dai membri della Motion Picture Academy – uno dei soli 15 film in tutto il mondo – per la rosa dei candidati all’Oscar di quest’anno per il Miglior Film Internazionale. Sono l’orgoglioso produttore esecutivo di questo acclamato film uscito nei cinema di tutta l’America”. Così il produttore statunitense Michael Moore – noto per “Bowling for Columbine” e “Fahrenheit 9/11” – sul suo sito www.michaelmoore.com.

From Ground Zero – distribuito in Italia da Revolver – è una pellicola di meno di due ore formata da 22 cortometraggi; alcuni di pochi minuti. Sono frammenti di vita quotidiana, racconti che trasformano il regista Rashid Mashawari e tutti gli autori dei corti in inviati di guerra. Un film che racconta un genocidio: tante piccole storie che mostrano come sopravvivere, salvarsi dai bombardamenti, trovare acqua, cibo, anche solo una presa dove ricaricare un cellulare. From Ground Zero è nella short list dei candidati agli Oscar 2025, in attesa delle nomination che saranno rese note il 19 gennaio.

Un film che ha una colonna sonora senza diritti d’autore: il ronzio costante dei droni che sorvolano i cieli di Gaza; che ha una scenografia che non è un’opera d’arte contemporanea: macerie e cavi d’acciaio attorcigliati che fuoriescono dai blocchi di cemento. Un film con una presenza muta che infonde serenità: il mare; quel mare che noi, il nord Africa, l’Europa meridionale, condividiamo con la Palestina. Da sempre. Ma che dopo millenni non è più una via di comunicazione ma un confine invalicabile. Per loro, per noi, non per gli israeliani.

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From Ground Zero – the untold stories from Gaza: 22 messaggi in 22 bottiglie; 22 testimonianze di genocidio. Un viaggio in una terra martoriata che forse conta già 80 mila morti. Un film che Michael Moore ha definito  “un miracolo cinematografico realizzato nel mezzo di quello che Amnesty International e Human Rights Watch hanno dichiarato un genocidio”.

“Lasciare tutto, come nel 1948. Ancora un altro 1948. Ma chi ha deciso che devo lasciare tutto? Che non dovrò mai più tornare? – Overburden di Ala’a Islam Ayoub.

From Ground Zero. Quasi due ore di immagini senza filtri. Come Selfie di Reema Mahmoud: una casa moderna, come tante in Europa, parzialmente distrutta, ma che ancora  contiene la tua vita passata. Dove entri camminando tra i ricordi mentre ora vivi in una tenda, sperando che non torni un nuovo 1948. Come The teacher di Tamer Nijim, dove un uomo che aveva una casa, una professione, va in giro con una pentola sperando di trovare cibo per sé e la famiglia. Ma come si sente un uomo che dopo ore di fila arriva nel momento in cui è stata appena distribuita l’ultima razione? Quando sei in fila per l’acqua che è appena terminata? E fino allo scorso anno eri un insegnante.

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E ancora macerie, disperazione, spari sui sopravvissuti, spari su chi cerca di estrarre dalle macerie chi ha ancora voce per chiedere aiuto – No Signal di Mohammad Al Sharif.

I poi i sogni cancellati di Ahmed Hassouna in Sorry Cinema. Niente aiuti umanitari, niente soccorsi: “non è più tempo per fare il regista, bisogna sopravvivere”, in una Palestina dove si raccoglie anche la farina caduta in terra da un sacco rotto di aiuti umanitari lanciati col paracadute.

From Ground Zero racconta di quando non hai neanche il tempo per piangere – Flashback di Islam Al Zerici – Di quando ti guardi attorno e non c’è nulla. Solo macerie, terra arsa e ricordi. E il mare – Charm di Bashar Al Balbisi –  Di come si fa ad essere un bersaglio per ben tre volte in 24 ore riuscendo ad essere solo ferito – 24 Hours di Ala’a Damo.

From Ground Zero è il film dei bambini, come in Soft Skin di Khamis Masharawi: “Mio fratello ha un anno e sa dire solo papà e fare il suono delle ambulanze… Mamma ha detto che se ci bombardano il nostro corpo può essere identificato dai nostri nomi scritti sui nostri corpi”. Dei bambini che hanno paura di dormire perché la notte porta via qualcuno dei loro cari – Farah and Myriam.

È la Gaza di Karim Satoum con Hell’s heaven: “Come è possibile che mi sia svegliato in un sacco per cadaveri? Preferisco usarlo ora e non dopo la mia morte; è come sentire il tuo corpo andare dall’inferno al paradiso”. Perché in un inferno dove “non è rimasto nulla di questa città, tranne il mare”, dormire in un sacco di plastica per cadaveri, è un lusso rispetto a chi dorme per terra senza coperte.

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From Ground Zero è l’urlo muto di chi vuol vivere, di chi riscrive Shakespeare con un war or not war, di chi rischia la vita per farsi una doccia sotto gli spari per potersi vestire bene per uno spettacolo che dona una risata – Everything is fine di Nidal Damo. È il corto interrotto della regista Etimad Washah – Taxi Wanissa – sconvolta dalla morte di suo fratello e dei suoi nipoti. Interrotto come la vita di ogni singolo abitante di Gaza.

Gaza: uno Stato che in aereo dista da Roma quasi quanto Dublino. Ma che per tutti è lontana quanto Atlantide.

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