di Antonio Salvati
Se ci guardiamo attorno, abbiamo la percezione di vivere in un tempo in cui sembra difficile fare o sognare qualcosa. In un mondo che ha riabilitato la guerra, che fa del guadagno e del denaro le leggi supreme. Questo è il mondo che ha rinunciato a una governance internazionale, archiviando i sogni del Novecento, la pace, il dialogo, la convivenza, la cooperazione, il disarmo nucleare, l’ONU. La pace sembra quasi scomparsa dall’orizzonte del futuro, in Europa come in Medio Oriente. Tuttavia, alcuni non hanno intenzione di rassegnarsi e desiderano testimoniare cos’è il male, con la speranza in un’umanità migliore. Come Andrea Riccardi ed Edith Bruck che si confrontano nel libro Oltre il male (Laterza 2024, pp. 128 € 15), attraverso un dialogo che affronta il passato di entrambi, le loro storie personali. Andrea Riccardi è tra i principali storici del mondo contemporaneo e del cristianesimo, fondatore della comunità di Sant’Egidio con la quale si è impegnato per aprire spiragli di pace: in Mozambico, in Libano, in Siria e nella sua Roma, sempre dalla parte degli ultimi e dei poveri. Edith Bruck, nata nel 1931 in un villaggio ungherese, a 13 anni ha vissuto sulla propria pelle l’orrore dei lager nazisti. Deportata insieme alla famiglia è sopravvissuta ad Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen. Da tempo si è stabilita in Italia, dove è diventata giornalista e scrittrice, portando la sua testimonianza in tantissime scuole italiane.
Sul male c’è una vastissima letteratura, dagli antichi filosofi agli autori contemporanei. Socrate sosteneva che il male è ignoranza, è mancanza di principi etici. Il bene è conoscenza, cultura, sapienza. «Alla domanda su che cos’è il male sono state date nei secoli molte possibili risposte. Quello che per me è certo, è che l’esperienza del male più grave è la guerra», dice convintamente Andrea Riccardi. Riccardi, nato nel 1950, ha ricordato che «la mia generazione ha creduto, e forse dato per scontato, che la pace fosse il nostro futuro». Oggi, invece, «è diverso, non siamo sicuri della nostra pace, mi fa impressione che molte persone considerino la guerra un fatto inevitabile, quasi necessario. Questo mi sconvolge profondamente», perché, sottolinea, «la guerra rende l’uomo disumano e permette che si compiano orrori indicibili». Abbiamo sprecato la pace. Abbiamo espunto dal linguaggio pubblico il tema della pace. Abbiamo un’esuberanza di informazioni. Eppure paradossalmente quello che vediamo o leggiamo non ci protegge. Spesso ci voltiamo dall’altra parte.
In tal senso, è fondamentale mantenere la memoria. Si tratta di uno dei temi del volume, caro a Riccardi. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un eccesso di perdita della memoria e dalla relativizzazione della storia. È quello che il rabbino britannico, una grande mente, un grande interprete del nostro tempo, Jonathan Sachs, chiama il cambiamento climatico culturale cioè il passaggio dal noi all’Io, un mondo di donne e uomini individuali che vivono proiettati in un eterno sono presente, spaesati ma anche sazi di sé e paurosi di andare oltre il presente. Vengono alla mente le parole di Hannah Arendt che diceva: «memoria e profondità sono la stessa cosa. L’uomo può raggiungere la profondità solo attraverso la memoria». Nel 1965 a vent’anni dalla seconda guerra mondiale, Paolo VI interpretando la coscienza di una generazione, parlò all’assemblea dell’ONU e disse: «Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra!». Lo disse – ha ricordato Riccardi in altri scritti – in quella che era ancora la lingua diplomatica dell’epoca: Jamais plus la guerre. Memoria è mai più; memoria e mai più. È un binomio decisivo. La memoria è un processo complesso. E quanto difficile fosse la memoria era il rovello di Primo Levi, che ne conosceva la labilità tanto da scrivere in Sommersi e Salvati: «i ricordi che giacciono in noi non sono incisi nella pietra». Infatti i ricordi incisi sulle pietre monumentali, le nostre città ne sono piene, con sotto la scritta ad eterna memoria, quei ricordi ingrigiscono tristi senza oggi attrarre nessun interesse. La memoria come tutto vive nella storia, sopravvive nella storia, e tante volte sopravvive a quanti leggono la storia e la scrivono. Papa Francesco è preoccupato per la rottura del filo della storia, del legame, la paternità e la maternità, il passato. Ha detto: «Se una persona… vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti».
Per questo – e altro – siamo di fronte ad un volume prezioso. Indispensabile perché punta a restituire a ciascuno la speranza. Il senso della speranza degli autori scalda l’anima. Dobbiamo – dice la Bruck – inventare la speranza anche dove la speranza non c’è. Insieme è l’avverbio che potrebbe cambiare il mondo. Esiste un popolo della pace – non solo quello delle manifestazioni – che lavora e prega per la concordia umana. Gli autori hanno in comune una forte amicizia con Papa Francesco che per il Giubileo del 2025, che si apre la notte di Natale 2024 a San Pietro, ha scritto: «nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità». È incoraggiante che qualcuno guardi al cuore. Il papa, che – senza interesse di parte – s’interroga su quel che c’è nei cuori e ascolta le sofferenze. Guardare al cuore dell’altro è l’inizio di una vita meno infelice. Anche guardare la vita esemplare di Edith Bruck che – malgrado ne avesse tutti i motivi – non ha fatto la vittima nel corso della sua vita e la sua testimonianza risuona forte in un mondo fortemente vittimista. Il vittimismo smorza gli slanci di generosità verso gli altri. Il sentirsi vittime fa parte di questa decadenza occidentale. Una donna, la Bruck, capace di non provare odio: «io non ho mai, mai avuto un sentimento di odio, io non so cosa sia l’odio. E credo che questo sia stata e sia la mia salvezza». Eppure è cresciuta tra il razzismo e il pregiudizio: «Da quando sono venuta al mondo ho visto sempre intorno a me l’odio dell’antisemitismo». E ha aggiunto: «Il mio vissuto lo vivo ogni giorno, mai un solo giorno l’ho dimenticato, mi aiuta a leggere il mondo di oggi e immaginare quello di domani. Io non scrivo per me, scrivo perché spero profondamente che qualche goccia di bene in questo mondo possa arrivare dalle mie pagine».
Umberto Eco poco prima di morire lanciò un’idea semplice che oggi è veramente controcorrente: «in un mondo in cui si è tentati di dimenticare ed ignorare troppo, la riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere uno dei primi progetti del nostro futuro». Aggiunse che «la memoria è l’anima e l’anima cresce ricordando, trasmettendo e ascoltando». Pur sapendo che nel ’21 Gramsci di fronte a quelli che parlavano di storia, diceva: «la storia insegna ma non ha scolari». Ma non solo la storia, anche l’esperienza non ha scolari. Bernard Shaw, scettico, notava: «l’esperienza insegna che gli uomini non hanno mai imparato nulla dall’esperienza».
Ma gli autori di Oltre il male sono convinti che c’è un tempo scandito dall’orologio, il kronos, ma anche un tempo interiore, il kairòs, un tempo opportuno in cui “qualcosa” accade in noi. Oggi nel mondo è assai sviluppato l’analfabetismo relazionale e spirituale, una mancanza di intelligenza relazionale. Lo vediamo dalla violenza diffusa ad ogni livello. Ma Riccardi nel libro cita significativamente don Pino Puglisi: «”Se ognuno fa qualcosa allora si può fare molto”» e rivolgendosi alla Bruck dice: «tu hai fatto molto Edith e ognuno di noi deve fare quello che è in suo potere per non rassegnarsi al male». Il fondatore di Sant’Egidio evoca il concetto ebraico del tiqqun olam, ossia del riparare il mondo. Per Riccardi è una spinta a «”riamicare”, far avvicinare le persone, perché dall’incontro nascono legami». Già ascoltare il grido di pace mette in movimento le persone e le coscienze, fa maturare idee, sentimenti e speranze. Più volte Riccardi ha sottolineato che «non siamo consegnati a un destino ignoto, su cui non si può esercitare nessuna influenza. Si può ascoltare, comprendere, discutere: i processi messi in moto, talvolta, travolgono le resistenze e mettono in atto movimenti che vanno ben aldilà dei singoli. C’è anche una forza della ragionevolezza della pace, risposta all’anelito di tanti: molte volte è un’energia sottovalutata». La storia non è uno spartito già scritto. La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra.