di Rock Reynolds
Basterebbe farsi un giro nel centro storico, un enorme caleidoscopio di colori, suoni, fragranze e stili architettonici, per cogliere il senso di bellezza che pervade una delle città più affascinanti e solari d’Italia, forse del mondo. E le cronache che, da qualche tempo a questa parte, ce la restituiscono preda inquietante di bande minorili armate che scimmiottano – per la verità, con tragico realismo, talvolta – qualche boss della Camorra assurto a idolo dei ragazzini in un quartiere deteriorato non sono sufficienti a ribaltare la meraviglia che assale i sempre più numerosi turisti provenienti ormai da ogni parte del mondo: Napoli è una perla da scoprire.
Eppure, negli ultimi tempi hanno soprattutto fatto notizia certi episodi raccapriccianti di violenza tra adolescenti in cui a mettere fine a una contesa per futili motivi e a spargere la tossica semenza dell’odio sono quasi sempre le pistole. Proprio stamattina, nel corso di un’interessante trasmissione radiofonica, il questore di Napoli sottolineava come la città stia progressivamente trasformandosi in un centro culturale e turistico di portata mondiale, con una crescita esponenziale delle presenze straniere e una pervasiva sensazione di sicurezza, per lo meno nei quartieri centrali. A suo dire, gli episodi di violenza minorile restano fortunatamente un evento tutto sommato raro che non intacca la crescente serenità complessiva della città. Naturalmente, tali episodi vanno analizzati per poterne estirpare le radici malsane.
Questa riflessione mi sorge spontanea dopo aver letto il romanzo breve di Giacomo Cavalcanti, Amore imprevisto 5.0 (pagg 54, euro 9.40, acquistabile su Amazon), l’ennesimo di una lunga serie che questo anomalo autore sforna con notevole regolarità e che, in un modo o nell’altro, torna alla sua città natale che, per tante ragioni, ha abbandonato numerosi anni fa, ma a cui finisce spesso per far ritorno di persona o con l’immaginazione.
Cavalcanti l’ho conosciuto con l’uscita del suo romanzo autobiografico Viaggio nel silenzio imperfetto nel quale ha mischiato sapientemente realtà e finzione letteraria, raccontando l’esperienza personale del carcere e l’incontro con alcuni compagni di detenzione che, rassicurati dalle sue doti di affabulatore terapeutico, gli avrebbero raccontato segreti potenzialmente in grado di scardinare verità ormai date per assodate nella torbida storia della nostra Repubblica, a partire dal “caso Moro”.
Amore imprevisto 5.0, manco a dirlo, è un’ode all’amore e lo si può sintetizzare nella frase iniziale: «L’Amore è follia pura irrazionale». Un uomo di mezza età felicemente – forse non tanto – sposato viene risucchiato da un turbine insensato di ardore giovanile a cui si abbandona con pochi indugi.
Dopo aver vissuto anni molto difficili a Napoli, scontando 14 anni di carcere per omicidio, Giacomo Cavalcanti ricompone le tessere di un’esistenza torbida, tornando alla sua vera natura, quella di artista a tutto tondo – le sue opere di “arte povera” denotano una creatività fuori dal comune e le sue liriche sono sempre in bilico tra emozione e ironia – e costruendo una splendida famiglia al Nord. Napoli, però, resta sempre nel cuore di questo vulcanico artista che fatica a trattenersi quando gli si ricorda che molti scrittori, Saviano in testa, proiettano un’immagine esageratamente a tinte fosche della sua città. «Questo Saviano ha proprio rotto» mi disse diversi anni fa. «Che figura pessima ci fa fare! A Napoli non ci sono solo camorra, droga e ammazzamenti. Ci sono tanta, tantissima bellezza e umanità.»
Nonostante sia passato parecchio tempo dall’ultima chiacchierata, Cavalcanti non tradisce la sua natura di uomo diretto e artista poliedrico, nonché di abile manipolatore della parola. In ogni sua opera d’arte e in ogni suo scritto c’è la scintilla di un genio sconosciuto ai più.
Ci racconti un po’ di lei…
«Sono nato in una buona famiglia, con qualche problema economico legato alla cattiva salute di mio padre. Amore e affetto, però, non mi sono mai mancati, ma ho dovuto imparare a stare da solo e questo ha fatto di me un incorreggibile sognatore, capace di immaginarsi di tutto e di più. Mi ritengo comunque una persona disturbata, incompresa, che attira gente difficile, un amante delle cause perse: un quadro disarmante, lo capisco!»
In che modo il lockdown da Covid ha cambiato le sue abitudini?
«Questa grande tragedia, il Covid, in pratica ci ha sconvolto la vita, condizionandoci e facendoci toccare con mano la nostra vulnerabilità. Nello stesso tempo, però, lo star chiusi, senza la libertà di muoversi a nostro piacimento, ci ha fatto riflettere sul tempo che ognuno di noi ha sprecato e sul desiderio forte di andare avanti, di recuperare senza arrendersi..»
Come mai un romanzo d’amore? Non che non ci fosse amore nelle sue opere precedenti, ma qui manca del tutto l’elemento noir a cui ci aveva abituati…
«Con questa breve storia, ho voluto rompere con gli schemi, uscire dal mio modo di raccontarmi anche per dimostrare a me stesso di essere capace di narrare le magie dell’amore.»
Cos’è che ancor oggi del suo passato la rammarica?
«Il mio passato inesorabilmente mi segue, è un’ombra. Spesso, addirittura, mi precede. Però, non posso farci niente, anche se a volte vorrei essere risucchiato dal tempo.»
Perché, pur riconoscendo alcune delle imputazioni a lei rivolte e dopo aver scontato pene carcerarie per le stesse, ha sempre respinto l’accusa di aver fatto parte della Camorra?
«È importante sapere che “l’errore giudiziario” si definisce tale se, dopo una condanna o un’accusa, viene scoperta la verità. Se questo non avviene, allora sei e rimani quello che stabilisce “la sentenza”: un colpevole! Non per questo, però, devi accettarla. È il mio caso. Ho combattuto per dimostrare la mia innocenza, ma ho perso, ho dovuto imparare a conviverci e andare avanti..»
Lei ha una famiglia normale ed è pure nonno. Cosa consiglierebbe – e, magari, suggerisce davvero – ai più giovani?
«Non amo giudicare. Do solo consigli se mi vengono chiesti e parlo soprattutto dei mie errori e delle mie esperienze che ho trasformato in una risorsa. Così nasce Cavalcanti, anche scrittore, perché artista lo sono sempre stato: mi sono diplomato all’Istituto d’Arte Palizzi.»
Non le è mai passato per la testa di raccontare una storia della Napoli reale, quella della gente creativa che incrocia ogni giorno il proprio percorso di vita con quella della città meno virtuosa?
«Forse un giorno scriverò la vera storia di Napoli, una storia in cui non ci sarà spazio “per armi e personaggio folcloristici” ma solo per grandi bellezze.»