di Diego Perugini
Tenerlo lontano da un palco è impresa ardua, forse impossibile. E così Omar Pedrini, dopo il lungo tour di addio al rock (per problemi di salute), è tornato con un nuovo spettacolo.
Un recital più intimo e maturo, che ha debuttato domenica al teatro Menotti di Milano, come una sorta di anticipazione del suo percorso artistico futuro. Il titolo è “Quando siamo felici facciamoci caso” e prende ispirazione da una frase dello scrittore americano Kurt Vonnegut. Il tema, come facilmente intuibile, è proprio il mistero della felicità, ancora più difficile da sondare in questi tempi oscuri.
Per rispondere a questa e ad altre domande esistenziali, Pedrini ha messo in piedi un esperimento di teatro canzone, organizzato da IMARTS (International Music and Arts) con la regia di Emilio Russo. Qualcosa di semplice ed essenziale, ma al tempo stesso ambizioso.
Sulla scena solo un tavolino con libri e buon vino e una folta schiera di chitarre, da cui lui e il fido Simone Zoni attingono per creare suoni e atmosfere.
In un paio di generose ore, Omar parla di sé e dei bravi maestri che l’hanno ispirato nella vita. Legge brani e propone riflessioni di vario tipo, spaziando dalla buona politica dell’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica alla lezione dell’amico Luigi Veronelli, famoso gastronomo e molto altro. Ma nel calderone di influenze e conoscenze ci troviamo anche il pacifismo di “Mattatoio n. 5” di Vonnegut, i consigli sempreverdi del filosofo greco Epicuro, il monologo finale del film “The Big Cahuna”, persino delle citazioni di Madre Teresa di Calcutta.
Tra una lettura e l’altra, ovviamente, non mancano le canzoni.
In una chiave molto scarna: Omar voce e chitarra acustica, Zoni all’elettrica. Ascoltiamo “La follia”, “Dolce Maria”, persino il Bob Marley d’annata di “Redemption Song”.
Si entra nel personale quando il cantautore parla della complessa operazione chirurgica, circa vent’anni fa, che ha ispirato l’ironico rock di “Shock”, dal classico inizio stile Rolling Stones.
Poi si diffonde sui suoi eroi dello sport, Diego Maradona in primis, per cui ha scritto “Quelli come me”, ballata sinora mai eseguita dal vivo. Anche qui, un piccolo grande debutto.
Il pubblico ascolta, applaude, partecipa. Ancora di più quando arrivano i pezzi dei Timoria, lo storico gruppo di Pedrini: un gioiello come “Sole spento”, per esempio, che racconta il dramma di un carcerato.
O la vibrante “Senza vento”, che chiude la serata.
Il senso finale, che ti porti a casa dopo questa bella serata fra vecchi amici, è di godersi l’attimo, “farci caso,” custodire il tempo e riscoprire il valore di ciò che abbiamo, per vivere una felicità autentica.
Non è facile, però ci si può almeno provare.
Prossime repliche:
3 dicembre – Teatro Comunale, Gonzaga (MN)
6 dicembre – Teatro Petrella, Longiano (FC)
7 dicembre – Teatro Qoelet, Redona (BG)