"Berlinguer, la grande ambizione”: resta la nostalgia per chi ha lottato per socialismo, democrazia e giustizia sociale
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"Berlinguer, la grande ambizione”: resta la nostalgia per chi ha lottato per socialismo, democrazia e giustizia sociale

Ho visto “Berlinguer, la grande ambizione”, di Andrea Segre con uno straordinario Elio Germano. Non sono un critico e quindi mi limito a qualche impressione

"Berlinguer, la grande ambizione”: resta la nostalgia per chi ha lottato per socialismo, democrazia e giustizia sociale
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Claudio Visani Modifica articolo

3 Novembre 2024 - 16.40


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Ho visto “Berlinguer, la grande ambizione”, di Andrea Segre con uno straordinario Elio Germano. Non sono un critico e quindi mi limito a qualche impressione. Dal punto di vista artistico non credo sia un film memorabile. Direi piuttosto un bel docufilm, o docufiction. Con una prova d’attore che, da sola, regge gran parte del progetto: la postura, la gestualità e il parlare di Germano sono di una somiglianza impressionante. Per quelli anzianotti come me che quegli anni li hanno vissuti, è un ritorno al passato che suscita molte emozioni. E anche un bel po’ di nostalgia. Non tanto per la breve stagione del compromesso storico stroncata sul nascere dal rapimento e dall’assassinio di Aldo Moro su cui si concentra a mio parere efficacemente il regista, quanto per lo spessore del leader comunista e di parte della classe politica di allora. Il confronto con i leader e la politica decadente di oggi è impietoso. 

Su quella strategia che suscitò nel gruppo dirigente del partito e tra gli elettori del Pci opinioni e sentimenti assai contrastanti posso anche portare una testimonianza personale diretta. In quegli anni facevo politica, ero il giovane segretario comunale e capogruppo del Pci a Brisighella, la città dei cardinali, feudo incontrastato della Dc e mosca bianca della Romagna. Quando i dirigenti della Federazione di Ravenna, dove Berlinguer era andato a testare gli umori della base verso la sua linea politica (è raccontato anche nel film, nell’incontro con gli operai del petrolchimico Anic) ci vennero a proporre di dare l’astensione a una giunta monocolore democristiana (quella pentapartito era entrata in crisi), ci furono accese discussioni e molti mal di pancia. Ma la proposta passò. Due anni dopo, alle elezioni, il partito ottenne il miglior risultato di sempre e si formò la prima giunta di sinistra Pci-Psi dalla Liberazione, con sindaco il comunista Amos Piancastelli. 

Politicamente e storicamente al film mancano diversi pezzi e personaggi (il conflitto col Psi di Craxi e la portata della rottura con il Movimento del Settantasette, ad esempio), ma non era la precisione storiografica che interessava a Segre. Lo sguardo del regista voleva mostrarci l’uomo Berlinguer nella sua dimensione pubblica e privata – con la sua sobrietà, la sua coerenza, la sua fermezza e il suo coraggio – e in questo mi pare ci sia riuscito molto bene. Soprattutto nel parallelo tra la sua vita politica e famigliare che ho trovato di una solidità e tenerezza infinite. Sono uscito dalla sala con due pensieri tristi e rassegnati. Il primo: se non ci sono riusciti Berlinguer e Moro a cambiare l’Italia, sarà dura che ci riescano quelli di adesso. Il secondo: purtroppo si è rotto lo stampo. Così ho deciso di riproporre questa lettera aperta a Berlinguer che avevo scritto un paio di mesi fa per una maratona di letture che si doveva svolgere alla Festa dell’unità di Bologna in occasione del 40esimo anniversario della morte, che poi è saltata per il maltempo. Eccola.

Caro Enrico, nella lunga notte della politica che stiamo attraversando mi è capitato spesso di ripensare a te. Da quando te ne sei andato sono accadute molte cose. È caduto il Muro di Berlino, l’Unione Sovietica è crollata, il Pci ha cambiato più volte nome e smarrito le sue radici proletarie, la sinistra che hai impersonato non esiste più, il capitalismo ha vinto ovunque, perfino in Cina dove resiste la dittatura  comunista, mostrando la sua anima più brutale nel liberismo selvaggio e nella globalizzazione, la sfrenata  ricerca del massimo profitto e il potere finanziario hanno peggiorato le condizioni dei lavoratori, dei giovani e delle donne rispetto ai tempi tuoi, le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo e tra ricchi e poveri sono tornate ad aumentare, lo sviluppo senza rispetto per l’ambiente ci ha portato a una crisi climatica che provoca continui disastri e mette a rischio l’esistenza stessa del Pianeta, la competizione globale ci sta portando a una nuova Guerra Fredda tra Occidente e Oriente, tra Mondo di Sopra e Mondo di Sotto, mentre la rinascita dei nazionalismi ha già riportato la guerra in Europa e sulla scena politica italiana e mondiale si sono affacciati inverosimili leader come Berlusconi, Salvini, Grillo, Renzi, Macron, Von der Leyen, Trump, Milei,  Zelensky che, ne sono certo, ti farebbero rimpiangere perfino Fanfani, Craxi e Krusciov. 

Ogni volta che ci penso mi sale la nostalgia e mi dico: quanto ti abbiamo voluto bene, quanto ci manchi, quanto mancano alla politica la tua sobrietà, il tuo rigore, la tua coerenza, i tuoi pensieri lunghi! Penso a questi personaggi della politica moderna che si fa sui social con poche idee ma confuse, come direbbe Flaiano, al loro vivere di slogan e superficialità, di apparenza pubblica e incoerenza privata, di esibizionismo, vanità e desiderio di primeggiare e mi viene in mente il tuo stile, lo “stile Berlinguer”: riservatezza sulla vita privata, coerenza tra azione politica e condotta personale, la tua timidezza gentile davanti alle telecamere, il legame indissolubile tra cultura e  politica, tra democrazia e moralità pubblica in cui credevi; e quella volta che Minoli ti chiese qual era la cosa di cui andavi più orgoglioso e tu rispondesti: “Di non avere mai rinunciato agli ideali della mia giovinezza”. 

Mi torna in mente quando dicevi che sì, la sinistra faceva bene a disfarsi di vecchi miti, a rinnovarsi e adeguarsi ai tempi, ma che non può vivere e vincere senza i valori ideali di cui è sempre stata portatrice: pace, giustizia, eguaglianza, lavoro, sapere, solidarietà. Quando affermavi che l’errore più grave della sinistra e della politica sarebbe quello di appiattirsi sui problemi dell’immediato, sulla routine del giorno per giorno. Perché se si toglie all’impegno politico una proiezione e una tensione verso l’avvenire, se lo si riduce al piccolo cabotaggio, ai diplomatismi e ai giochi di potere tra gli esponenti dei partiti, si contribuisce ad aggravare la crisi di sfiducia dei cittadini che già ai tempi tuoi andava assumendo dimensioni allarmanti. Chissà cosa penseresti oggi che tre cittadini su quattro dichiarano di avere nessuna o poca fiducia nei partiti e solo la metà va ancora a votare? Tu l’avevi già capito quarant’anni fa va dove stavamo andando. Nella famosa intervista a Eugenio Scalfari, nel 1981, aprivi la “questione morale” con queste parole: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela, stanno occupando lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo: occupano gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali. E il risultato è drammatico”. Ecco, è quello che è accaduto. Con una ulteriore aggravante: che i partiti di oggi non sono più quelli di cui parlavi, non ci sono più partiti di massa organizzati e radicati ma solo macchine del consenso al servizio dei potentati economici, finanziari e geopolitici, con molta meno autonomia e capacità direttiva, ostaggi del sistema. L’esempio più clamoroso è sulla guerra. Non c’è partito e governo occidentale che oggi abbia l’autorevolezza e la forza di prendere una posizione autonoma rispetto all’atlantismo dominante. 

Era il 1976 quando, nella famosa intervista a Giampaolo Pansa, dicevi che i comunisti italiani non mettevano in discussione l’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico ma difendevano “il diritto dell’Italia di decidere in modo autonomo del proprio destino”. E aggiungevi: “Io mi sento più sicuro stando nella Nato, ma vedo che anche di qua ci sono seri tentativi per limitare la nostra autonomia. Di là, all’Est, vorrebbero che noi costruissimo il socialismo come piace a loro. Ma di qua, all’Ovest, non vorrebbero neppure lasciarci cominciare a farlo”. L’anno dopo a Mosca, nel 60esimo della Rivoluzione d’Ottobre, salisti alla tribuna per rilanciare la via italiana al socialismo con queste parole: “L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare un’originale società socialista. Ecco perché la nostra lotta unitaria, che cerca costantemente l’intesa con altre forze d’ispirazione socialista e cristiana in Italia e in Europa occidentale, è rivolta a realizzare una società nuova, socialista, che garantisca tutte le libertà personali e collettive, civili e religiose, il carattere non ideologico dello Stato, la possibilità dell’esistenza di diversi partiti, il pluralismo della vita sociale, culturale, ideale”. E dopo la brutale repressione in Polonia del generale Jaruzelski al soldo di Mosca, affermasti che per i comunisti italiani “la capacità propulsiva aperta con la Rivoluzione di Ottobre nelle società dell’Est Europeo si è venuta esaurendo e oggi siamo giunti al punto in cui quella fase si chiude”. 

Ci voleva molto coraggio a dire queste cose in quegli anni. Tu quel coraggio l’hai avuto. E hai anche rischiato di lasciarci la pelle, in Bulgaria, quando ti salvasti per miracolo dall’attentato ordito dal Kgb nei tuoi confronti. Oggi non si riesce neppure a immaginare un leader europeo che abbia il coraggio di andare a Washington a dire agli americani: “Non siamo d’accordo con la vostra politica estera, vi siamo grati per ciò che avete fatto ma i tempi sono cambiati, non prenderemo più ordini dalla Nato, vogliamo andare avanti da soli, decidere autonomamente del nostro futuro, consolidare la pace in Europa, evitare nuove guerre. Condanniamo l’invasione russa dell’Ucraina ma siamo anche contro la vostra guerra per procura a Mosca tramite Kiev e non vi seguiremo oltre nel sostegno a Israele per distruggere Gaza, occupare la Cisgiordania e cancellare il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese”. 

Purtroppo, le cose oggi in Europa vanno diversamente. La destra sovranista post-fascista e post-nazista sta rialzando la testa, sono tornati i nazionalismi, la pace è di nuovo a rischio. Chissà cosa diresti a vedere i nipotini del Duce e di Almirante al potere in Italia? Tu l’avevi capito che le dittature possono tornare, che eravamo e siamo ancora un paese a sovranità limitata. Per questo lanciasti la proposta del compromesso storico, l’intesa e la collaborazione delle forze popolari d’ispirazione comunista, socialista e cattolica per fermare la deriva in corso, governare assieme il paese e scongiurare il pericolo di nuove avventure reazionarie.

D’altra parte, Togliatti, Nenni, De Gasperi avevano guidato insieme la Resistenza, Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini avevano combattuto fianco a fianco come capi partigiani, la nostra Repubblica antifascista è nata da quella esperienza unitaria. Quindi ci stava l’incontro e la collaborazione tra quelle forze per difendere e attuare pienamente la Costituzione.

Ma sappiamo com’è andata. Moro l’hanno assassinato, i socialisti sono passati con i liberisti, il Pd che avrebbe dovuto riunire il meglio dei valori comunisti e cattolici è nato dal notaio con rigorosa separazione delle casacche e dei beni, il termine socialismo è scomparso dal vocabolario politico della sinistra e nessuno parla più di superamento del capitalismo. E noi ora siamo qua, con un po’ di nostalgia, disillusi e impigriti, a sperare che spunti un altro Enrico a ridarci fiducia e speranza, idee nuove e pensieri lunghi per convincerci a lottare di nuovo per cambiare in meglio la società e il mondo, per dirci che “ha da passà ‘a nuttata”.  

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