di Antonio Salvati
In un tempo che, per brutali convenienze e per disinformazione, è maledetto dal cattivismo e da un’impressionante mancanza di vergogna nel manifestare xenofobia e razzismo, è indispensabile fermarsi per trovare “parole di benedizione”, per poi giungere alla comune consapevolezza della necessità di reali “gesti di benedizione”. Per questo serve ancora una volta soffermarsi sui testi di Eugenio Borgna. Nel suo breve ma denso volume, uscito recentemente, Mitezza (Torino, Einaudi, 2023, pp. 120, € 12,00) ci mette a parte del suo dialogo infinito con la mitezza, «e con l’arcipelago delle emozioni sorelle», con la finalità dichiarata di fornirci un aiuto educativo e formativo, in un momento storico, come questo, ancora oggi imprevedibile nelle sue conseguenze. La mitezza – spiega il prof. Borgna – «non è testimoniata solo dalle parole, che si dicono, o non si dicono, ma anche dai gesti, che le accompagnano, e che non sono meno importanti. Il modo di salutare e di stringere la mano, quando sia possibile, il sapere sorridere, il non vergognarsi di piangere, che è talora il solo modo di testimoniare la nostra presenza amica a una persona che sia immersa nel dolore e nella tristezza, nella angoscia e nella disperazione, nella speranza di non essere lasciata sola nella sua solitudine».
Le persone miti sono sensibilissime alle parole, che sono creature viventi, come diceva un grande scrittore austriaco del secolo scorso, Hugo von Hofmannsthal, «e che dovremmo sapere scegliere in ogni circostanza della vita, tenendo presenti le risonanze emozionali che possano ridestare in chi ci ascolta». La mitezza è ferita dalle parole aride e fredde, scostanti e aggressive, che non di rado connotano le nostre giornate. Come trovare le parole miti e gentili? Non si trovano, se non siamo attenti alle persone che abbiamo dinanzi, «alla loro fragilità e alla loro mitezza; non dimenticandoci mai di una cosa: quella di ascoltare». Ci sono infiniti modi di ascoltare, e in ogni caso si è capaci di ascolto, «quando si tengano presenti le attese e le speranze delle persone, e ci si metta in sintonia con la loro esperienza del tempo interiore, del tempo vissuto, che non ha nulla a che fare con l’esperienza del tempo misurabile, del tempo delle lancette dell’orologio. Non solo in psichiatria, ma nella vita di ogni giorno, quante sofferenze, e quante angosce, eviteremmo nelle persone che incontriamo, se sapessimo essere in ascolto non solo delle loro parole, ma anche dei loro sguardi, dei loro volti e del loro sorriso: delle loro lacrime». Borgna non può non partire dalla sua vita professionale trascorsa in psichiatria che lo conduce alla convinzione che le persone miti non sanno difendersi. Ma sanno conoscersi nella consapevolezza della propria fragilità e vulnerabilità, della loro sensibilità e della loro nostalgia di una solitudine interiore, non chiusa in sé, ma aperta all’ascolto, e al dialogo.
La mitezza – avverte Borgna – non è solo rifiuto di ogni forma di aggressività e di impazienza, di risentimento e di indifferenza, «ma è anche premessa a un radicale cambiamento nel modo di considerare la vita, e di viverla: cosa, che è possibile in ogni età, ma è più facile (forse) in età adolescenziale e in età anziana, le più libere da conflitti e da ambizioni, che non le età adulte». Spesso si è convinti che con l’età la mitezza venga meno, che «si inaridisca, e sia sostituita da emozioni sempre più egocentriche; ma è tesi che non è facile condividere». In realtà, ci sono persone anziane che, «sulla scia di una nostalgia creatrice di ricordi e di immagini, di attese e di speranze», sanno recuperare i valori della mitezza e della gentilezza, che negli adulti sono più facilmente inaridite dalle esigenze, così diverse, dell’homo faber. In altri termini, l’età insomma non esclude la presenza di una fragile forma di vita, «come è questa della mitezza, ma ci sono periodi in cui la mitezza ci è familiare, e altri in cui la malattia rende più difficile tenerla viva nel nostro cuore, e nelle nostre azioni». La mitezza «è nondimeno (anche) paziente, e, come la gentilezza, può oscillare nei suoi modi di esprimersi; nei momenti di inquietudine dell’anima talora si scolorisce, ma la matrice dei modi di essere, dei modi di ascoltare e di agire, della mitezza, non potrà mai essere scalfita dalle impronte della indifferenza e della aggressività, della noncuranza e della noia, che sono le nemiche della mitezza».
La mitezza è anche fonte di saggezza: ci fa uscire dal deserto dell’individualismo e dell’egoismo. Spiega Borgna: «è immersione nella interiorità, e ascolto della voce del silenzio, e della nostalgia, coscienza dei nostri limiti, e apertura a una comunità di destino. Sí, tutto è connesso, come diceva Hölderlin, e cosí si intrecciano le une alle altre la mitezza e la saggezza, la gentilezza e la tenerezza, la nostalgia e la delicatezza, che hanno loro proprie dimensioni semantiche, ma che in modi diversi ci avvicinano agli orizzonti sconfinati della vita». Il cammino verso la saggezza è un cammino variegato che ha, come premessa, tante cose: «conoscersi, conoscere le emozioni che sono in noi, sapere ascoltare, essere fedeli agli ideali di carità e di accoglienza, di solidarietà e di giustizia». Pertanto, se vogliamo essere saggi, è necessario andarne alla ricerca, seguendo le fragili tracce delle ragioni del cuore, che ci avvicinano alle frontiere del dicibile e dell’indicibile, del visibile e dell’invisibile; ma, si chiede Borgna, è possibile vivere senza preoccuparsi di essere miti e di essere saggi, senza riflettere sulle risonanze relazionali ed etiche delle nostre azioni? Sí, è possibile, ma allora «la nostra vita smarrisce l’interiorità e la dignità, la comprensione e l’accoglienza del dolore e della sofferenza, la coscienza dei doveri e dei limiti, che dovrebbero essere sempre in noi».
La mitezza si esprime in modi che sono orientati a una comune finalità: quella di creare relazioni umane aperte all’ascolto e all’accoglienza, alla collaborazione e alla reciprocità. Ma, «senza ripensare al passato, agli errori commessi, alle speranze deluse, alle attese incompiute, non sono facili comportamenti adeguati a quelli che sono gli orizzonti ideali della vita». Inondata di dolorosa nostalgia è una poesia di Emily Dickinson:
La morte ci lascia nostalgia, noi che restiamo,
tranne che se n’è andata siamo ignoranti della sua questione come non fosse nata.
In tutti i suoi luoghi di prima, noi andiamo come individui che hanno perso qualcosa,
e a cui il cercare è tutto quanto resta, ora.