Pievani e Maroccolo: migrazioni e biodiversità ci salvano, il razzismo ci condanna

Al festival “Fabbrica Europa” di Firenze lo spettacolo “Nomadic” fonde bene scienza, musica, immagini, dà carica emotiva a un pensiero chiaro. Suggestiva la “Selva” sonora di Marta Del Grandi

Pievani e Maroccolo: migrazioni e biodiversità ci salvano, il razzismo ci condanna
“Nomadic. Canto per la biodiversità” di Telmo Pievani e Gianni Maroccolo al Teatro Puccini di Firenze. Foto Fabbrica Europa
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Stefano Miliani Modifica articolo

28 Settembre 2024 - 19.47 Giornale dello Spettacolo


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Nomadi nati. Come Homo Sapiens siamo partiti dall’Africa, abbiamo tutti matrici comuni, il Dna non mente, perciò sentirsi una “razza” è fuorviante, scientificamente e culturalmente, è distruttivo, nega la nosa natura. Ancora: abbiamo convissuto con altre specie, le migrazioni non sono un accidente della storia, sono insite nel nostro essere, generano biodiversità, ci hanno permesso di vivere e sopravvivere nelle condizioni più disparate nei territori più diversi così come migrano gli animali. Solo che adesso stiamo riscaldando il pianeta con una rapidità ed effetti devastanti.
Così si può leggere e interpretare “Nomadic canto per la biodiversità”, affascinante affresco sonoro e visivo con il filosofo della biologia, saggista, autore e divulgatore Telmo Pievani ai testi e alla recitazione, con Gianni Maroccolo, compositore, bassista, alla direzione musicale, artista eccellente, già in gruppi fondanti del rock come i Litfiba e i Csi. Lo spettacolo ha debuttato al Teatro Puccini di Firenze lunedì 23 settembre nell’edizione 2024 del festival “Fabbrica Europa” e lo ha organizzato l’università fiorentina per la notte europea della ricerca “Bright-Night”.

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“Nomadic. Canto per la biodiversità” di Telmo Pievani e Gianni Maroccolo al Teatro Puccini di Firenze. Foto Fabbrica Europa

“Nomadic” è un concerto-spettacolo che parla alla ragione agganciandosi a una carica emotiva. Grazie anche a un ricco apparato visivo: su un telo trasparente corrono immagini di mondi, sagome di uccelli in volo, carovane, mari, savane, masai, nomadi, per finire in un cupo scenario industriale. Quel telo si interpone tra i musicisti e Pievani e la platea. Nello spettacolo l’elettronica ha una dimensione molto poetica e non a caso gli autori, oltre a pezzi dello stesso Maroccolo, hanno pescato con acume nel repertorio ai confini del rock un autore il Battiato dei primi anni ’70 con pezzi come “Aria di rivoluzione”, già ripresa dai Csi, oppure la toccante “Oriente e occidente”.

“Nomadic. Canto per la biodiversità” di Telmo Pievani e Gianni Maroccolo al Teatro Puccini di Firenze. Foto Fabbrica Europa

La vertigine della scienza con Pievani. In “Nomadic” Pievani smonta pezzo per pezzo, con metodo e precisione, ogni possibile razzismo, ogni velleità di considerare chi migra un intoppo, un fastidio da lasciar morire in mare non soccorrendo. Lo studioso racconta, con lo stupore dello scienziato innamorato del mondo e della biologia, di uccelli che ogni anno percorrono parecchie decine di migliaia di chilometri e sanno sempre dove andare, di esseri marini che si orientano con il campo magnetico, con le parole della scienza sa creare un senso di vertigine profondo. Tecnologia e natura si abbracciano.

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Telmo Pievani qui al Festival della mente di Sarzana edizione 2024. Dal video su youtube a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=eyXQsD258X4

“Viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti” La scelta musicale eccelle. Tra brani dello stesso Maroccolo, “Peste” dei Litfiba, di Philip Glass, di Daniela Pes, il gruppo inanella una collana di gioielli e li reinterpreta come lo stupendo “In viaggio” dei Csi dell’album “Ko de mondo”: Andrea Chimenti, alla voce della serata a fianco di Angela Baraldi, canta i versi di Lindo Ferretti “Viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti / Viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti” e Pievani tesse queste parole nel racconto globale. In parole simili sta un nucleo dello spettacolo-incontro “Nomadic”: viaggiano i perdenti e si adatteranno, le migrazioni sono insite nella natura umana per sopravvivere.
Implicitamente ma non troppo il messaggio è chiaro: una politica pronta solo a respingere i più poveri da un altro continente è non solo feroce, nel lungo corso sarà a sua volta perdente, sterile perfino per quegli Stati che vogliono arroccarsi.
Doveroso citare dello spettacolo, tra altri, la regia e le immagini di notevole forza evocativa di Marco Cazzato e Michele Berardi, nonché Mariano De Tassis alle luci e Vladimir Jadogic al suono.

Marta Del Grandi nel concerto “Selva” al Parc di Firenze. Foto Monia Pavoni, fonte Fabbrica Europa

La poesia coraggiosa di Marta Del Grandi. La componente elettronica permette di agganciare il concerto-spettacolo-conferenza di Pievani e Maroccolo alla serata precedente di “Fabbrica Europa” con la compositrice, chitarrista e cantante Marta del Grandi al Parc alle Cascine: una musicista che firma un concerto più intimo, molto poetico, coraggioso, scaturito da un notevole album del 2023, “Selva”, a ragione arrivato tra i finalisti dell’opera prima nel premio Tenco 2024 anche se aveva esordito nel 2021 con l’album “Until We Fossilize”.

L’intrigante “Selva” sonora di Marta Del Grandi. Più scarno il concerto di Marta del Grandi, anch’esso dalle sonorità suggestive e ottimamente miscelate: chitarra elettrica e voce (lei), più batteria, violino, elettronica, registrazioni, sussurri. Nel canto e in un rock sperimentale l’artista riversa le sue esperienze in Italia e nel mondo, inclusi due anni vissuti a Katmandu nel Nepal; nel dialogo con il pubblico riserva pensieri che con salutare auto-ironia etichetta “perle di saggezza” come quando dubita “non so se andrà bene a Sanremo” a proposito di un brano palesemente inadatto al festivalone.

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Marta Del Grandi nel concerto “Selva” al Parc di Firenze. Foto Monia Pavoni, fonte Fabbrica Europa

L’ironia, la dolcezza, l’errore veniale su Springsteen. Marta Del Grandi dà l’impressione di essere timida, chissà se lo è, certo ha una buona sicurezza e una bella consapevolezza della sua musica e di sé: la songwriter elabora una musica sognante, dolce, con asperità, la voce è stata accostata a Bjork e nella nostra malsana mania di accostare nomi nuovi a riferimenti certi potremmo avvicinarla a certi passaggi vocali dei Portishead, sempre che sia un esercizio utile. L’unico appunto è di tipo, come dire?, linguistico, non musicale: quando dice dal palco che con lei non si “poga” perché non è un concerto di Bruce Springsteen è ironica, tuttavia ai concerti del Boss si salta e si balla, non si “poga” ovvero non ci salta addosso danzando. Un’imprecisione veniale per una musicista cui non si può che augurare una lunga strada da percorrere e ricca di sorprese.
Vito Gatto al violino, Gabriele Segantini a batteria ed elettronica i compagni di viaggio della musicista.

Marta Del Grandi nel concerto “Selva” al Parc di Firenze. Foto Monia Pavoni, fonte Fabbrica Europa

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