I fascisti sanno che Mameli era un rivoluzionario che voleva la giustizia sociale?
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I fascisti sanno che Mameli era un rivoluzionario che voleva la giustizia sociale?

Mameli non era un sovranista, era piuttosto un internazionalista. Se lo avessero saputo gli eritrei avrebbero avuto più diritto loro di cantare a quelli di Casa Pound le parole di quell’inno antico di cui si è perso il significato.

Goffredo Mameli
Goffredo Mameli
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Giancarlo Governi Modifica articolo

6 Luglio 2024 - 10.25


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Fa una strana sensazione sentire il Canto degli Italiani (così si chiama l’Inno di Mameli, divenuto ora ufficialmente inno nazionale) sulla bocca di quelli di Casa Pound che si connotano con simboli fascisti e persino nazisti, come la croce runica. I neofascisti di Casa Pound urlavano le parole del poeta genovese a quei poveri disgraziati che la nave Diciotti aveva raccolto in mare, dove arrancavano su un gommone stipato fino all’inverosimile da mercanti di morte.

“Stringiamci a coorte siam pronti alla morte l’Italia chiamò…” dicono le parole di Mameli e per fortuna quei disgraziati eritrei, che fuggivano da una guerra permanente, non potevano capirne il significato altrimenti avrebbero pensato che gli italiani, quelli lì, avevano deciso di dichiarare loro guerra. “Un’altra guerra…” avrebbero pensato “non bastavano le guerre in cui siamo cresciuti”.


Mi sono domandato: questi prodi patrioti pronti a combattere contro quei poveri straccioni, contro quelle donne stuprate dagli scafisti, sanno chi era Goffredo Mameli? La risposta è ovvia, questi signori conoscono questo inno come un inno sovranista, un inno divisivo, un inno che pone i “fratelli d’Italia” contro lo straniero invasore che minaccia i confini d’Italia, la nostra patria, le nostre tradizioni, persino la nostra religione. Lo straniero invasore per Mameli era l’impero austro-ungarico, i Borboni mentre per costoro sono quei poveri straccioni in cerca di pace e di sopravvivenza, esposti alla pubblica carità di una Europa ricca che loro vedono come un miraggio.
Goffredo Mameli a venti anni compose quel testo poetico, che fu poi musicato da Novaro, e un anno dopo lasciò la sua vita sulle barricate del Vascello, dove difendeva, nell’esercito di Garibaldi, la Repubblica Romana.

Quella Repubblica Romana che si dette una costituzione che fu in vigore un solo giorno e che aveva dato il voto anche alle donne, un atto rivoluzionario e anticipatore. Mameli era mazziniano e aveva seguito gli insegnamenti di Mazzini il quale voleva unire i popoli, i popoli italiani prima e quello europei dopo, liberati dalla tirannide. Prima fondò la Giovane Italia e poi la Giovane Europa. Mameli poi aveva capito che Mazzini era il teorico, il profeta disarmato, e Garibaldi era il combattente, l’eroe dei due mondi sempre pronto a combattere per la libertà, la democrazia e la giustizia sociale.

Mameli non era un sovranista, come credono gli ignoranti e coloro che deliberatamente vogliono ignorare, ma era piuttosto un internazionalista e, se lo avessero saputo quei poveri straccioni eritrei, probabilmente avrebbero avuto più diritto loro di cantare in faccia a quelli di Casa Pound le parole di quell’inno antico di cui si è perso il significato.

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