di Alessia de Antoniis
Paola Minaccioni la amiamo nelle commedie di Verdone, Vanzina, Salemme, Ozpetek. Nella tv della Dandini. Su Rai Radio2 tutte le mattine ne Il ruggito del coniglio, con Antonello Dose e Marco Presta. Paola in questi giorni sta affrontando, da protagonista, il prestigioso palco del teatro greco di Siracusa. Diretta da Leo Muscato, è in scena, in prima assoluta nella storia delle rappresentazioni classiche dell’Inda, nel Miles Gloriosus di Plauto: fino al 29 giugno sarà Pirgopolinìce.
Il 26 giugno, data unica, sarà invece al Tempio di Venere a Roma all’interno della III edizione di Venere in Musica, con Paola racconta Anna, un viaggio con musiche dal vivo nella vita di Anna Magnani. Una Magnani raccontata con i suoi film, ma anche attraverso le parole di Pasolini, Belli, Mauro Marè, Sara Kane, Achille Campanile, Rodrigo Garcia e Gabriella Ferri.
Perché ha deciso di affrontare il mito di Anna Magnani?
Paola racconta Anna nasce perché nel 2021 ho vinto il premio per l’interpretazione di Anna Magnani. Poi ho fatto lo spettacolo Elena la matta di piazza giudia, dove recito un personaggio che la ricorda molto. Elisabetta Fiorito, autrice di Elena la matta mi ha proposto di fare una serata dedicata ad Anna Magnani. La prima cosa che ho detto è stata: “no! Non voglio assolutamente mettermi in fila tra le attrici che sperano di essere paragonate alla Magnani. Ce n’è una e basta. Non voglio entrare in questa trappola. La cosa che mi può interessare è ricordarla”. Ricordarla e raccontare la sua vita, quello che ha fatto al di là dei tuoi dei suoi film.
Durante il lavoro di ricerca per lo spettacolo, ho scoperto che donna straordinariamente antesignana fosse. E quanto deve aver faticato, ad esempio col primo marito, Goffredo Alessandrini: ritrovarsi a fare la signora, chiusa in casa, con la domestica che faceva tutto e lei che doveva chiedere il permesso al marito per andare a lavorare. Un uomo che le ripeteva che con quel carattere non avrebbe mai lavorato nel cinema. Ed è una cosa per la quale mi sento uguale ad Anna Magnani, a Franca Valeri. Per certe donne il cinema non è accessibile secondo regole maschili. Ma lei ce l’ha fatta e io pure alla fine faccio cinema, però è una battaglia. Questa è stata la sua prima rivoluzione: imporsi nonostante quello che pensavano di lei per il suo carattere fortissimo, la sua tigna, ma anche per il suo grande talento.
Ho scoperto che non ha più fatto entrare un uomo in casa sua dopo la separazione. Negli anni ’50, una donna che viveva in modo così autonomo, che si legava continuamente a degli uomini mantenendo la sua autonomia, che ha gestito il patrimonio da sola, che ha fatto le sue scelte, era impensabile. Si è sposata nel 1936: erano anni in cui c’erano concorsi per “la donna ideale”. C’erano le scuole per la moglie perfetta, i concorsi a premi “donna dell’anno”; ti insegnavano a cucinare, a pulire il bagno per tuo marito, ti dicevano come lo dovevi accogliere in casa la sera, come dovevi apparecchiare.
Mi piace anche raccontare che aveva carattere pesante. Nello spettacolo emerge dalle testimonianze dei più grandi amici come Suso Cecchi D’Amico, Vittorio De Sica.
Anna Magnani più moderna di molte donne di oggi…
Oggi noi siamo tutti uniformati, anche noi artisti: siamo costretti ad avere un buon carattere, essere sempre gentili. Ci siamo appiattiti. Ma fino a qualche anno fa c’erano le grandi discussioni, come quelle tra Carmelo Bene e Vittorio Gassman. C’erano scambi di opinioni sulla qualità delle interpretazioni, sullo spettacolo in genere. Oggi siamo un po’ più carini, perché dobbiamo essere appetibili per il mercato. In questo lei è stata una luce nella notte. Una donna straordinaria che ti dava tutto, ma voleva tutto. Una persona verace. In scena raccontiamo i suoi film, i suoi incontri. La licenza poetica che ci siamo concessi è quella di inserire dei testi che raccontassero uno stato d’animo della Magnani, il tipo di amore, il periodo storico, ma non attraverso un racconto biografico. Lo faccio attraverso pezzi d’arte: c’è Achille Campanile, una poesia di Pasolini, c’è Mauro Marè. C’è addirittura Sarah Kane.
Accosta Sarah Kane alla Magnani?
Di Sarah Kane abbiamo inserito un monologo tratto da Crave. Un monologo straziante su un amore che finisce. È un modo per raccontare lo stato d’animo di Anna nei vari momenti senza riferimenti specifici. Con pezzi di artisti che hanno raccontato, col loro linguaggio, esperienze simili alle sue. Invece di raccontare un’emozione, abbiamo inserito una canzone. Ad esempio Reginella è la canzone che le insegnò la nonna quando era piccola, la prima canzone che ha cantato, quella che poi probabilmente l’ha portata a studiare musica. C’è Scendi notte di Gabriella Ferri, che parla di una donna che chiede al sole di scendere e di far diventare buio perché è finito un amore. È una canzone struggente, di questa donna che dice: di amore non si muore, ma fa male e adesso io non voglio sentire manco un rumore; adesso lasciatemi in pace, voglio piangere 5 minuti. Una canzone piena di orgoglio e di resistenza. Per questo l’abbiamo scelta per raccontare un pezzo di Anna.
Un suo ricordo della Magnani?
Quando vedevo Anna Magnani da piccola, non pensavo fosse un’attrice, pensavo fosse un’amica di mia madre. La guardavi e pensavi fosse davvero una di noi. Questa potenza è il motivo per cui le persone l’hanno amata.
Ma solo ora che sono grande ho capito tutta la sua fatica, le sue battaglie. Ecco perché questo spettacolo è dedicato a tutte le donne che hanno iniziato a fare qualcosa. Cosa? non lo so L’importante è iniziare. Lei sicuramente ha iniziato a gridare la sua voglia d’amore, ma anche la sua voglia di libertà. E sappiamo quanto ancora oggi questo sia difficile per tutte le donne. Paola racconta Anna uno spettacolo dedicato ad Anna Magnani, a mia madre e a tutte le donne.
Quest’anno alla Festa del cinema di Roma erano esposti alcuni abiti di Gattinoni per Anna Magnani: era una donna minutissima…
Aveva fianchi abbondanti e una vita piccolissima e la sera dello spettacolo indosserò un abito di Gattinoni della signora Magnani. lo dico sempre che con la Magnani ho in comune le occhiaie, la taglia e il trauma
Il trauma?
La spinta creativa della Magnani nasce dall’abbandono. Ha subito angherie per il fatto che non era bella e in questo mi sento simile a lei, credo sia una cosa che ci accomuna.
Sta avendo successo al teatro greco di Siracusa con il Miles Gloriosus di Plauto. Una versione musical che può trovare spazio anche in teatri non dedicati alle opere classiche?
Sì, ma non tanto per il genere quanto per la qualità della realizzazione. Con il regista Leo Muscato abbiamo lavorato in profondità. Soprattutto abbiamo lavorato tanto. Leo è riuscito a creare un gruppo di 47 donne che si adorano, con tutta l’energia che può avere il woman power. Sono davvero felice di essere a capo di questo gruppo. Lo spettacolo funziona: abbiamo tirato fuori tutta la farsa racchiusa nel testo, rendendolo coinvolgente.
Parlando di commedia antica, in un simile periodo forse è meglio attualizzare Plauto che Aristofane: il secondo citava apertamente i politici che sbeffeggiava, Plauto no. Oggi i giornalisti che si oppongono li cacciano. Per voi comici com’è la situazione?
Se fai il comico, la cosa peggiore che ti può capitare e quella di uniformarti al pensiero dominante. Dopo i grandi anni della comicità, non c’è più la grande scuola della satira. Si sono quasi tutti appiattiti su una satira di costume, o al surreale. Il pensiero che si è diffuso è che, delle persone potenti e anche scomode, è meglio non parlarne. Se ti esponi, passi per una persona criticona o un rosicone. Non c’è più la fiducia del pubblico che pensa che tu stai proponendo un altro punto di vista, critico, che può essere accettato o meno, ma che ti allarga lo sguardo. Io dico sempre che finché c’è satira c’è speranza. Quando non c’è più la satira è perché ci siamo adattati.
Lei è abituata a muoversi nella commedia, ma immagino che Siracusa per un attore sia un po’ come Sanremo per un cantante pop…perdoni l’indegno paragone: è un palco che fa paura…
Quando ci arrivi con una solida esperienza alle spalle e, soprattutto, quando sei nel progetto giusto, nel ruolo giusto, col regista giusto, è una specie di matrimonio, una cerimonia alla quale ti stai preparando da anni. Me la sono goduta e non mi ha intimorito. Eravamo talmente concentrate sullo spettacolo, desiderose di condividere con il pubblico tutto il lavoro fatto, che è stato l’incontro che stavamo aspettando da un mese, perché tanto sono durate le prove.
Nel Miles di Muscato l’ironia femminile distrugge la misoginia di Plauto da dentro. Riflettevo che ho una Presidente del Consiglio, donna, che si lascia distruggere da una mascolinità tossica dall’interno. In molti campi si cerca di andare verso il soft power, femminile, e ci sono donne che arrivano in alto perché sposano valori maschili…
Per interpretare Pirgopolinìce, un clown cattivo che fa anche tenerezza, mi sono ispirata a tanti pazzi guerrafondai che ancora oggi armano il mondo. Godo nel ridicolizzare questi uomini pieni di ego, che cambiano stato d’animo all’improvviso, spesso bisognoso da affetto. Plauto era pieno di frasi misogine che, dette da noi, si ribaltano e diventano ridicole. Questo Miles ha un impatto politico senza mai dirlo. È la potenza del teatro.
Il Miles Gloriosus lascia ogni sera due biglietti sospesi per le donne vittime di violenza…
Sono una dei membri di Una Nessuna Centomila, la fondazione creata da Fiorella Mannoia, Paola Cortellesi e Giulia Minoli per aiutare le donne che subiscono violenza. Mi sono messa in contatto con il centro antiviolenza Ipazia di Siracusa e ogni sera abbiamo due biglietti sospesi per loro. Il centro Ipazia ha operatrici volontarie, avvocatesse, che lavorano su questo territorio e che avrebbero tanto bisogno di sostegno. Una Nessuna Centomila è riuscita a raccogliere fondi per finanziare, per un anno, questo centro antiviolenza. Con quello che abbiamo raccolto stiamo pagando due psicologhe. Mai come ora abbiamo bisogno che si attivi una rete sociale che le aiuti. Il Comune potrebbe fare molto se concedesse loro uno spazio a costo zero, dove accogliere le donne che sono in difficoltà. Sappiamo tutti che le donne che subiscono violenza reiterata spesso non hanno un lavoro e non sanno dove andare. La bellezza di questa esperienza è che con l’arte si possono portare avanti tanti discorsi, senza ostentare buonismo.