di Antonio Salvati
La Bibbia affronta seriamente l’esperienza della sofferenza, della malattia e della morte. Dagli albori dell’umanità, la malattia è presente nel mondo e tocca in maniera così drammatica la carne dell’uomo e ne avvilisce lo spirito. La Sacra Scrittura esprime pienamente quanto la vita si rivela incerta e fugace, costantemente minacciata dal male. Nel libro della Genesi l’essere umano è posto al vertice della creazione come un essere quasi divino, investendolo del compito di governare tutte le creature, che sono poste sotto i suoi piedi (Sal 8,7-9). Nello stesso tempo, significativamente nel Salterio troviamo più volte la domanda «Che cosa è l’uomo?». Anche con risposte che possono generare sconcerto: «Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? / Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? / L’uomo è come un soffio, / i suoi giorni come ombra che passa» (Sal 144,3-4).
Anche se l’uomo è creato a immagine di Dio, la sua esistenza è instabile e incerta. La vita dell’uomo è effimera e passa in fretta, in modo inesorabile. Ma Dio se ne prende cura, sapientemente. Ne sono consapevoli Maria Cristina Marazzi, Ambrogio Spreafico e Francesco Tedeschi, autori del pregevole volume Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Paolo (Morcelliana 2023 pp. 224, € 18,00),che mostrano quanto la Bibbia è sempre una risposta sapiente alle domande esistenziali dell’uomo e della donna, con una visione, uno sguardo alternativo sulla realtà umana.
Malgrado la diffusa e imperante mentalità razionalista, c’è un’enorme domanda di guarigione nelle nostre società, attorno a noi, che spesso si sviluppa lontanissima dalla tradizione cristiana. Tante persone oggi vanno alla ricerca di pratiche magiche, occulte, miracolistiche, astrologiche! Una affannosa ricerca di protezione, sicurezza e guarigione. Una domanda che spesso non trova ascolto, approcci adeguati. Non solo le comunità cristiane sono chiamate a raccogliere questa sfida. La domanda di guarigione, anche se spesso è mal posta, non è altro che una grande domanda d’amore. Le parole di questo libro – afferma Marco Impagliazzo nella prefazione – «aiutano l’uomo e la donna contemporanei, abitatori di un oggi liquido e a volte superficiale, a leggere in maniera più profonda e fruttuosa i segni del tempo, anche quelli amari e indesiderati del dolore». Perché affermava con radicalità Giorgio La Pira, non si comprende la storia – ogni storia – senza leggere la Bibbia. Gli autori sono convinti che le parole della Scrittura vanno riscoperte, rilette, perché non le conosciamo, o le conosciamo troppo poco. In sintonia con quanto affermò Papa Gregorio Magno: «le parole della Scrittura crescono insieme con chi le legge». E la scommessa di questo volume – riuscita – è quella di aiutare il lettore a crescere attraverso lo studio della Parola di Dio scoprendo nuove vie per leggere con speranza e intelligenza le vicende umane.
Nella Scrittura troviamo tracce di quello che è il teorema retributivo, ancora molto diffuso, quello che attribuisce a Dio la sofferenza e la morte: «La maledizione del Signore è sulla casa del malvagio, mentre egli benedice la dimora dei giusti» (Pr 3,33). La sofferenza e la malattia sarebbero, dunque, una conseguenza del peccato commesso dall’uomo personalmente e collettivamente. Ma l’applicazione di questo modello è messa in crisi all’interno della Scrittura stessa. Diversi significativi passi biblici, smontano questa teoria viene attraverso l’esperienza pratica della vita degli uomini e delle donne. In questo senso, il libro di Giobbe è emblematico. Infatti, Giobbe è un uomo integro e retto che viene colpito da molte calamità, compresa la malattia, «una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo» (Gb 2,7). Giobbe non accetta l’idea di essere stato punito da Dio per il suo peccato, come vorrebbero fargli credere i suoi amici. Essi si ergono a difesa di Dio, affermando che, se il loro amico soffre, è a causa delle sue mancanze. Dio interviene alla fine. Mette in discussione la sapienza di Giobbe e quella dei suoi amici. Al termine dell’incontro con Dio, Giobbe comprende che Dio non è la causa dei suoi mali. Avverte la presenza amorevole di Dio e intercede per i suoi amici.
Nei Vangeli, l’attenzione di Gesù ai malati, occupa una posizione di primo piano. Ed è così fin dalle prime pagine quando Gesù inizia la sua vita pubblica. La cura dei malati è una dimensione essenziale della sua stessa missione. Gesù si prende cura dei malati non in modo generico ma con l’impegno di guarirli dalla malattia. I Vangeli, infatti, parlano di guarigioni più che di generica attenzione, ossia di azioni che ridanno la salute ai malati. Sono più di trenta i racconti di guarigione riferiti nei Vangeli su un totale di 53 miracoli. L’alto numero sta a significare l’importanza che Gesù annetteva alle guarigioni nella sua missione. Gesù indica il valore della visita ai malati. Invito sottolineato dagli autori. La visita è l’inizio, «il minimo, ma tutto comincia da lì. Non bisogna mai rinunciare ad andare nei luoghi di dolore, anche quando sembra si possa fare poco. Andare, guardare, è già cominciare ad amare e portare nel cuore. Vedere permette di non dimenticare (…) Senza vedere è molto più difficile amare». Lo sguardo rende responsabili di ciò che si vede e di chi si vede. Vedere significa cambiare il cuore e nella visita «si rendono visibili quelli che agli occhi di tanti sono “invisibili” perché nessuno li guarda». La visita strappa il malato dall’isolamento e dalla disperazione, rappresenta sempre una piccola guarigione. E non pochi oggi sostengono il valore terapeutico della visita.
Come dicevamo, il bisogno di guarigione è sempre forte, attuale. Per questo la Comunità di Sant’Egidio – nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma e in tanti altri luoghi – si riunisce ogni mese per pregare per i malati. Occasioni sempre molto affollate per essere concretamente vicini ai malati, consegnando a Gesù situazioni di amici malati.