Cortinametraggio: riflessioni e confronto anche sul tax credit nel cinema italiano
Top

Cortinametraggio: riflessioni e confronto anche sul tax credit nel cinema italiano

Parliamo di produzione cinematografica con Marina Marzotto e Maria Grazia Saccà, CEO di Propaganda e Titanus

Marina Marzotto e Maria Grazia Saccà a Cortinametraggio - ph Anna D'Agostino - intervista Alessia de Antoniis
Marina Marzotto e Maria Grazia Saccà a Cortinametraggio - ph Anna D'Agostino
Preroll

globalist Modifica articolo

12 Aprile 2024 - 14.44


ATF

di Alessia de Antoniis

Cortinametraggio è stata anche un’occasione per parlare di produzione e finanziamenti con chi il cinema lo produce:  Maria Grazia Saccà, CEO e Produttore della Titanus Production, e Marina Marzotto, Founder & Senior Partner della società di produzione indipendente Propaganda.

Posso produrre cinema sciogliendo tra sala o piattaforma, in base al target di pubblico o in base ai finanziamenti pubblici. Ma produrre nella misura in cui ottengo finanziamenti pubblici è un criterio di scelta remunerativo?

Per Maria Grazia Saccà “per il prodotto medio la logica del finanziamento non esiste. Se hai un film che ti piace, cerchi finanziamenti, anche privati. Per certi progetti, poi, i finanziamenti pubblici non bastano e hai bisogno dell’intervento della televisione, di realtà come Rai Cinema. Se poi parliamo di tax credit, che sembra l’unico argomento quando si parla di finanziamenti, questo avvantaggia i grandi, chi ha il fiato per andare avanti da solo. Mentre i medio piccoli a volte devono rinunciare alle produzioni perché, senza certezza, vengono meno anche i finanziamenti delle banche. Perché sono progetti dove il riconoscimento magari ti arriva dopo un anno e mezzo”.

Wildside e The Apartment sono ora di proprietà di Fremantle, che ha cinque società in un momento critico perché il mercato potrebbe non essere così florido come si era previsto. Anche Rai probabilmente dovrà ridurre i budget. Paramount cancellerà le produzioni italiane e noi rischiamo di diventare solo un service. Possiamo ancora permetterci di finanziare film da 30 milioni di euro che ne incassano meno di 300 mila?

Per Marina Marzotto si deve partire dai dati. “È vero che abbiamo un caso simile, ma è uno. A volte leggo dati “nasometrici” sui film. Vanno capiti i numeri. È  cresciuto il comparto documentari distribuiti al cinema, ma quando si fa un’analisi del box office non si distingue la fiction dal documentario. Negli USA una decina di documentari va in sala, da noi più di 200. Se nelle statistiche del cinema li mettiamo insieme, falsiamo i dati. Perché costringiamo tutti i documentari, anche quelli fatti per la televisione, a uscire al cinema? Perché prendono un’aliquota più alta di tax credit. Dovremmo chiederci cos’è un prodotto cinematografico prima di chiedersi quanto costa e che ritorno abbiamo. Prodotto cinematografico non è necessariamente un film. E poi dovremmo anche capire cos’è un successo e cos’è un insuccesso. Le posso dimostrare che parecchi dei film che sono degli insuccessi al box office, sono dei film partiti su commissione degli SMaV (sono i fornitori di servizi di media audiovisivi – nda). Quando parliamo di un film che ha una distribuzione forte, parliamo di una distribuzione theatrical o televisiva? Questi film vengono sviluppati per il cinema o per la tv? Questa è la domanda da farsi.

Leggi anche:  Interstella 5555: il film dei Daft Punk

Noi siamo due produttrici cinematografiche e vogliamo fare cinema con la c maiuscola, non film. C’è una grande differenza. Ecco perché la domanda importante è qual è il prodotto cinematografico. Altrimenti continuiamo a non mettere a fuoco il problema.

La legge n. 220 del 2016 si basa su tre flussi di finanziamenti che hanno motivazioni distinte. Il selettivo: un incentivo a creare la qualità; l’automatico: un incentivo sui risultati, quindi tu hai ottenuto risultati al box office e io ti do un incentivo da reinvestire nel tuo prossimo progetto; il tax credit: uno strumento di sviluppo economico che viene usato per sviluppare la piena occupazione. Ad esempio, la Spagna mette un tax credit differenziato a seconda della regione per incentivare lo sviluppo occupazionale, ma lo fa anche il Canada per cui, nelle aree più depresse dove vuoi attrarre lavoro, metti un’aliquota più alta. Il tax credit è uno strumento di sviluppo economico che non ha nulla a che fare con la qualità di quello che si produce. Noi da anni parliamo solo di tax credit e ci siamo dimenticati di parlare dei selettivi, che sono gli strumenti per promuovere il cinema di qualità, degli automatici che sono strumenti meritocratici. Poi però ci piace parlare male del cinema italiano.

Facendo confusione anche tra tax credit e finanziamenti…

Il tax credit è illiquido e avvantaggia chi ha possibilità di accesso al credito. Più grosso sei, più lo puoi utilizzare, anche tenendo presente i tempi di erogazione del ministero in questi ultimi anni. Anni durante i quali noi siamo passati da interessi a quasi zero a interessi che arrivano al 6 %. Ma agli occhi del pubblico, noi produttori siamo sempre quelli ricchi con la barca, che ogni volta che facciamo un film guadagniamo cifre folli. Questa è la narrazione”.

Si racconta anche che i maggiori investimenti derivanti dal tax credit vadano all’attore o al regista famosi…

Maria Grazia Saccà sottolinea quanto questo non sia vero. “Il tax credit è un beneficio fiscale che va in percentuale ai costi sostenuti, quindi va all’attore principale come alle maestranze, perché finanzia gli oneri sociali e non il sopra la linea (nelle aziende cinematografiche costi sopra la linea sono quelli artistici, come regia, cast, sceneggiatura. Costi sotto la linea sono quelli per le maestranze – nda). Non solo, ma tutti i titoli che ricevono ingenti finanziamenti, sono progetti che hanno trovato anche finanziamenti privati sul mercato. E, a volte, i finanziamenti privati sono maggiori di quelli pubblici. Il cinema non è una scienza esatta. Ci sono progetti come quello della Cortellesi, che ottiene un risultato che nessuno si aspettava, e progetti della stessa società che vanno malissimo. È un peccato vedere che spesso il pettegolezzo supera la diffusione dei dati reali. Si è parlato dei compensi di registi e attori, ma sono usciti parlando di cinema mentre sono dati della serialità. È normale che un signore che fa 300 minuti di programma tv rispetto a una media di 100 minuti del cinema, viene pagato tre volte tanto.

Leggi anche:  Interstella 5555: il film dei Daft Punk

Quello del cinema italiano è stato sempre un sistema artigianale, che ha iniziato a industrializzarsi nel 2017 quando è stato inserito il tax credit. In questa trasformazione hanno inciso due cose : il tax credit e l’arrivo delle piattaforme. La concomitanza di questi due fattori ha dato un’accelerazione al processo di industrializzazione che non era scontato. Da questo fattore di crescita, poi, deriva anche la qualità. Tutto si può migliorare, ma non butterei via l’acqua con tutto il bambino. Se oggi noi siamo un paese attraente per le produzioni straniere è anche per questo”.

Ma quanto rischiamo di diventare soltanto un service?

Per Maria Grazie Saccà “il rischio di trasformare la produzione italiana in un service di grandi piattaforme o di grandi gruppi stranieri è sempre dietro l’angolo e si gioca tutto sulla definizione di produttore indipendente. C’è una differenza enorme tra un produttore verticalmente integrato con una distribuzione e uno che non lo è, tra un produttore addirittura posseduto da una distribuzione o un broadcaster e uno che non lo è”.

Per Marina Marzotto “ci troviamo in una situazione dove il duopolio italiano Rai – Mediaset tende a comprarci tutto e questo può anche essere un problema perché, se per qualsiasi motivo noi produttori non abbiamo una giusta remunerazione, non abbiamo più diritti secondari da venderci. Oggi gli editori e i distributori hanno il coltello della parte del manico rispetto ai produttori, perché noi non siamo in grado di produrre se non entra una distribuzione. Questa è la verità. Quindi perché veniamo descritti come una masnada di approfittatori che fa brutti prodotti quando in realtà li facciamo sempre in coproduzione con grossi gruppi?

Chi si sente schiacciato dalla distribuzione è anche la sala…

Il problema è che tutta questa trasformazione arriva in un paese che non era ancora maturo. In questo momento stiamo lavorando a un film grande e ci siamo finanziati tra noi co – produttori pretendendo dei diritti anche di mercati esteri, facendo accordi multi territoriali con lo svod (Subscription video on demand, una delle tre categorie di streaming – nda), vendendo il solo diritto theatrical a un distributore che pensa di poterci dare un minimo garantito importante per un film di cui non ha il diritto antenna e pensa di riportarsi a casa il suo investimento con il cinema.

Leggi anche:  Interstella 5555: il film dei Daft Punk

È un distributore coraggioso, saggio o folle?

C’è un film forte con autori e protagonisti forti. Un prodotto Premium veramente cinematografico. Ma il fatto che in Italia questo non accada mai, neanche per Bellocchio, è indicativo: abbiamo un sistema che non crede nella distribuzione theatrical; ed è un problema che va al di là dei produttori che, per quanto grandi, da soli non possono fare niente. A questo bisogna aggiungere che le sale hanno dei meccanismi inquietanti di occupazione, che è quello che vedete tutti i weekend con il film che esce in 500 copie e che magari non performa neanche. La povera sala se lo deve tenere e i dati raccontano numeri importanti, ma solo perché ho distribuito molte copie. Ma quei dati non sono indicativi della realtà del mercato”.

Cortinametraggio è una sorta di vivaio. Dai corti che avete visto cosa si legge in prospettiva? Sappiamo tutti che uno dei problemi sono le scritture…

Per Maria Grazie Saccà “ che il nostro tallone d’Achille è la scrittura lo vedi anche nei corti. Il nostro è stato un cinema grande, fatto da personalità irripetibili, che però non hanno fatto scuola. Sono tutti pezzi unici, irriproducibili. Dal punto di vista della sceneggiatura, le serie per i giovani sono stati una grande palestra che ha aiutato anche il cinema. Oggi tanti sceneggiatori e registi vengono dalla serialità. Questo è un mestiere che impari facendolo.  Ma come campano questi ragazzi se scrivono una sceneggiatura ogni tre anni?

Noi aziende produttrici capiamo che il costo di ricerca e sviluppo è importante, ma è un costo che rimane tutto in capo all’azienda di produzione. Per questo cerchiamo di minimizzare il costo di ricerca e sviluppo e massimizzare il risultato produttivo, perché quando devo portare in cda dieci progetti da finanziare, è un problema. Addirittura le televisioni non hanno il reparto ricerca e sviluppo.

Per Marina Marzotto un altro problema riguarda il finanziamento delle sceneggiature.  “L’importo dell’investimento lo dovrebbe dettare la sceneggiatura. O noi diciamo alle nostre opere prime e seconde che non devono avere ambizioni, che devono fare due cuori e un tinello che poi però nessuno vorrà andare a vedere, e li ammazziamo sul nascere, o decidiamo che produciamo di meno, ma diamo loro un’opportunità vera, e quindi i soldi che servono in base la sceneggiatura. Un autore affermato ha la forza per reperire sul mercato i finanziamenti. Noi invece diamo gli aiuti pubblici a loro, facendo piovere sul bagnato.

Native

Articoli correlati