di Antonio Salvati
Fin dai primi mesi del suo pontificato papa Francesco ha sottolineato la centralità dei poveri. Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium focalizzò il tema dell’inclusione dei poveri, affermando che per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica. Prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. «Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri – ha osservato Francesco. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del “sensus fidei”, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti si lascino evangelizzare da loro». L’amore per i poveri e la loro inclusione nella comunità, nel rispetto delle differenze, si pone come una dimensione costitutiva dell’essere cristiano. Francesco porta a compimento un aspetto del vivere della Chiesa che diventa fondamentale per il suo stesso esistere. Per il suo configurarsi come porta aperta a tutti. E particolarmente ai poveri. «La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri», ricordava significativamente un altro Papa, Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II. Quel «particolarmente» non è un semplice auspicio, ma una prassi e i poveri non sono una categoria astratta, ideologica, ma persone con il loro nome e la loro storia. Non un elenco, un problema, una cartella da trattare. È l’originaria convinzione di Andrea Riccardi e della Comunità di Sant’Egidio: la Chiesa è una famiglia, anzi è la vera famiglia. Da questa dimensione familiare scaturiscono i pranzi di Natale preparati, dal lontano 1982, dalla Comunità di Sant’Egidio. Questi pranzi, divenuti un’icona del Natale in cui nessuno è escluso, sono l’oggetto del bel volume curato da monsignor Vincenzo Paglia Il pranzo di Natale, edito da San Paolo (2022 pp. 126, € 10). Le pagine sono piene di riferimenti storici ed esegetici, sapienti e stimolanti, che ci ricordano una prassi antica della Chiesa e pienamente evangelica: mangiare assieme. Il pranzo di Natale rappresenta un moderno Presepe, un’immagina creativa e teologica che parla un linguaggio umano: quello dell’umanesimo evangelico. Ma ci sono infinite espressioni, quando si rimette l’amore dei poveri nel cuore della Chiesa e della vita, facendo sì che sia attrattivo e eloquente.
Ha scritto il cardinale di Bologna Matteo Zuppi nella prefazione: «È un libro commovente perché ci fa incontrare il nostro prossimo, tanto che nel pranzo tutti diventano prossimo gli uni degli altri, si confonde chi serve e chi è servito, tutti ospiti del vero padrone di casa che è quel Dio che insegna agli uomini ad essere uomini e a percorrere con gioia la via del cielo, quella che insegna a vivere bene sulla terra. Non è un Natale “di meno”, ma enormemente “di più”, come tutte le cose di Dio! È l’icona dell’enciclica Fratelli tutti, il sacramentale di una liturgia di amore, che non solo non profana i luoghi, ma aiuta tutti a vedere l’umano con gli occhi di Dio e Dio con gli occhi degli uomini». Un altro cardinale di Bologna, Lercaro, negli anni del Concilio, desiderava che su molti altari della diocesi venisse inciso sul lato di fronte all’assemblea un versetto della Didaché (noto testo cristiano di autore sconosciuto, scritto tra la fine del I e il II secolo): «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello della terra?».
Si tratta di un libro prezioso in un tempo in cui la crisi economica e la guerra hanno incrementato una mentalità che potremmo definire materialistica, per cui ha valore quello che si vende e si compra. Quel che non ha un prezzo vale niente o molto poco. Una logica materialista o economicista corrode gli spazi del gratuito: li rende difficili in una vita piena di lavoro, li demotiva culturalmente e moralmente, li soffoca. Ne soffrono i poveri. Ne soffre una società in cui gli spazi del gratuito (la famiglia, l’amicizia, la solidarietà) sono corrosi e assediati. L’amicizia con i poveri – sostengono a Sant’Egidio – non può essere considerata la tendenza privata di alcuni: la solidarietà, per i cristiani e i laici, è una realtà decisiva che ha qualificato la vita del paese nelle sue varie stagioni. E’ stata il sapore dell’umanità in molti angoli e in molte piazze. Una società, senza solidarietà, si imbarbarisce e si disumanizza. Non possiamo accettare che il valore – o la bellezza – della solidarietà sia marginalizzata.
Il libro descrive le storie e i volti di quella famiglia di poveri e umili che – spiega Zuppi – «Dio raduna intorno a sé, spirituale ma anche tutta umana, della bellezza di sorrisi senza denti, di solitudini guarite, di sbarre aperte e di sale da pranzo bellissime. Questa concretezza infastidisce chi ha ridotto Dio a consigliere dell’individualismo, a uno spazio sacro ma senz’amore, a luce che non scalda e non attrae. È un libro che appare esagerato a chi riduce Dio a un ente senza volto, rassicurante perché assume qualsiasi forma desiderata, talmente senza volto da togliere certo ogni paura, ma che finisce per essere solo una grande estensione del proprio io».
La nostra società disprezza sempre più i poveri. Eppure la presenza del povero – ha sostenuto Andrea Riccardi – è misteriosamente e umanamente potente: cambia più di un discorso, insegna la fedeltà, aiuta a conoscere la fragilità della vita C’è un aspetto umano insopprimibile nel rapporto con i poveri. La solidarietà passa attraverso l’amicizia, perché i poveri sono parte della famiglia allargata. Tanti cristiani ne fanno esperienza lavorando con loro, vivendo in casa con loro, bambini, disabili, anziani. Diventare familiari dei poveri è la sfida dei cristiani. Familiarità che «si realizza –disse papa Benedetto XVI in una visita alla Comunità di Sant’Egidio – quanto avviene a casa: chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito, e al primo posto si trova chi maggiormente ha bisogno». Familiarità che sfida cultura materialistica del nostro tempo, che affida il futuro alla provvidenza del mercato. Paolo VI, nella Populorum progressio ebbe una bellissima espressione: «il mondo soffre per mancanza di pensiero». Pensiero, umanesimo non sorgono solo nelle accademie né nel gioco dei media. Gli amici dei poveri, movimento oggi in Italia complesso e variegato, libero e impegnato, mostra come i poveri sono belli e come il loro posto dà la misura dell’umanità nelle nostre società. I poveri sono rivelatori della bellezza della gratuità. Chi mantiene un legame con i poveri, anche nei momenti confusi, non perde la strada dell’umanità. I poveri sono bussole sicure della cultura dell’umano. Il particolare del povero apre all’universale. I poveri sono la misura dell’universalità. Per essere umana, una vita – anche una politica o una cultura – deve essere dei poveri. Ogni uomo, specie povero, «esprime – disse qualche secolo fa papa Gregorio Magno- in modo autentico l’universalità, perché in lui in qualche modo è racchiuso l’universo».