di Raffaella Gallucci
“Essere o non essere? Questo è Asteroid city”. La frase è risuonata nella mia mente proprio mentre guardavo il nuovo e atteso film scritto e diretto da Wes Anderson. Nelle nostre sale è arrivato dopo che era stato presentato, in pompa magna, al Festival del Cinema di Cannes 2023, con un cast stellare: da Jason Schwartzman, Adrien Brody, Steve Carell, Tom Hanks a Scarlett Johansson.
Non poteva passare inosservato da critica e pubblico. Ora, lontano dai clamori, passava, finalmente, al mio vaglio critico.
Iniziamo dalla trama: la città dell’asteroide non esiste, ed è Bryan Cranston nei panni dell’Host a fornire questa notizia all’inizio del film. E’ tutta una farsa; una pièce teatrale, scritta dal drammaturgo Conrad Earp, interpretato da Edward Norton. Lo spettacolo è ambientato nel 1955, quando gli abitanti della cittadina assistono a un incontro riavvicinato con un alieno. Di conseguenza, l’esercito americano impone ai testimoni dell’accaduto una quarantena in città.
Come distinguere il reale dalla rappresentazione? Il regista gioca in modo rilevante, com’è nel suo registro, con il colore: il bianco e nero è usato nelle scene ‘reali’ mentre i colori – con il pastello a farla da padrone- sono impiegati per la pièce, per indicarci la ‘finzione’.
E qui è scattato, in me, il primo interrogativo: e se fosse la realizzazione della pièce, una finzione? A ben guardare, le scene ambientate nel mondo vero sono artificiali, finte, come se fosse proprio il regista a porci davanti al rebus, ossia capire cosa sia la realtà. Io ho sentito calore e familiarità nella piccola cittadina americana, a differenza del teatro cupo e spoglio. I diversi abitanti sono del tutto in contrasto con la scenografia così come gli oggetti animano il luogo. I cittadini appaiono a volte cinici e altre problematici, con i loro dubbi esistenziali. Manifestano sentimenti e perplessità che l’essere umano prova da sempre ed è questo che li rende veri e vicini a noi spettatori, creando un contrasto con l’artificialità del contesto.
E’ senza dubbio uno dei film più intimi del regista dove emerge con forza la sua visione del mondo audiovisivo. C’è stata una vera sperimentazione nella scrittura della sceneggiatura accompagnata da una regia impeccabile. Si amalgamano perfettamente.
Pellicola, quindi, che sarà apprezzata da qualunque spettatore. Tra l’altro, il cast fa una grande differenza, come i dettagli che dona Jason Schwartzman al suo Augie Steenbeck, padre vedovo di 4 bambini, che spingono gli spettatori a detestarlo, dimostrando così eloquentemente quanto renda credibile questo ruolo.
Bisogna godersi questo piccolo gioiello; dopo ‘Frech Dispatch’ uscito nel 2021 e non gradito al pubblico, Anderson ha ridimostrato di non essere ancora finito. Tutt’altro.
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