Conflitto uomo-animale: riflessioni sulla complessa coesistenza tra specie
Top

Conflitto uomo-animale: riflessioni sulla complessa coesistenza tra specie

Wanted!" di Mary Roach esplora la complessa coabitazione tra uomini e animali, sfidando le soluzioni univoche in un mondo sempre più conflittuale

Conflitto uomo-animale: riflessioni sulla complessa coesistenza tra specie
Pericolo orsi
Preroll

globalist Modifica articolo

31 Agosto 2023 - 10.15


ATF

di Rock Reynolds

Il 5 aprile di quest’anno è una data che a molti potrebbe dire poco. Eppure, proprio quel giorno un giovane del Trentino fu ucciso da un’orsa in cui si era imbattuto mentre faceva una corsa in un bosco, scatenando una scia di polemiche che non si sono ancora sopite. La questione dibattutissima, diventata di stretta attualità per essere balzata tristemente agli onori delle cronache grazie a quella tragedia, è semplicissima da enunciare: l’orsa in questione va abbattuta o meno? Molto meno agevole è trovare un punto di incontro tra chi ritiene che non si debba minimamente indugiare e chi, invece, sostiene le ragioni del plantigrado e, più in generale, di una natura sempre più assediata dall’uomo.

Mentre la vertenza resta aperta e le autorità locali e nazionali, da una parte, e gli animalisti, dall’altra, faticano a dialogare, la pubblicazione di uno splendido saggio non accademico sulla relazione sempre più complessa tra la natura e la prepotenza dell’uomo sembra indicare alcune vie percorribili.

Wanted! (Aboca, traduzione di Francesca Mastruzzo e Seba Pezzani, pagg 323, euro 19,50) della giornalista scientifica americana Mary Roach affronta questa tematica spinosa senza scorciatoie, impostando il proprio lavoro, frutto di anni di ricerche sul campo, con una cura maniacale, una grande attenzione alle esigenze della comunità umana così come ai diritti sempre più calpestati degli animali, filtrando ogni considerazione attraverso una verve e uno humour che non vengono mai meno. Neppure quando la relazione uomo-natura finisce per declinarsi in tragedia, ovvero quasi sempre nei casi analizzati dalla Roach: perché se non è un animale selvatico a fare una brutta fine, il peggio tocca al malcapitato umano.

Il primo capitolo del libro sembra concepito proprio tenendo a mente quanto successo al povero jogger in Trentino: nell’America del Nord, tra Stati Uniti e Canada, il problema della crescente coesistenza tra umani e orsi e della concomitante elisione del territorio in cui questi ultimi vivono esiste da ben prima che nel nostro paese se ne avvertissero gli effetti indesiderati. Per questo, da anni si è tentato di correre ai ripari.

Leggi anche:  Il ventre molle dell’America

Attenzione, però! Con il suo Wanted!, Mary Roach non offre risposte univoche e manichee. Semmai propone spunti di discussione da sviluppare ulteriormente, senza farsi trasportare da fanatismi di nessun tipo. Ecco perché vi potrebbe capitare di terminare la lettura del suo splendido libro con una poco gradevole sensazione di impotenza di fronte all’ineluttabilità di uno scontro che non può che veder soccombere la parte debole, ovvero gli animali selvatici.

In USA e, soprattutto, in Canada, l’approccio è estremamente pratico, per non dire spietato: un animale – soprattutto un orso – che si avvicini ripetutamente a un insediamento umano e che attacchi un individuo va abbattuto perché, tendenzialmente, ripeterà tale comportamento. Kevin Van Damme, cofondatore del WHART, l’ente governativo canadese preposto all’addestramento della popolazione su come rispondere a potenziali attacchi di animali selvatici, è chiarissimo: «Faccio lo specialista di attacchi di predatori da ventisei anni. So che alcuni di voi non sono d’accordo con me, ma se un orso nuoce a una persona, deve morire». Lo statunitense Stewart Breck piace maggiormente alla Roach «perché sta cercando di trovare un’impossibile via di mezzo». Attivo ad Aspen, nota località sciistica del Colorado, deve fare i conti quotidianamente con la presenza di orsi sulle strade dell’elegante cittadina ubicata tra le Montagne Rocciose. La popolazione locale tende a evitare soluzioni drastiche, avendo preso in simpatia le camminate serali dei plantigradi per lo più interessati a frugare tra i bidoni in cui i numerosi ristoranti locali gettano i loro avanzi. A suo dire, il rispetto più stretto delle regole sulla nettezza urbana, per esempio, statisticamente riduce i conflitti uomo-orso in certe aree urbane. La popolazione stessa di Aspen, addirittura, in un’occasione protestò per l’abbattimento di un orso “problematico”, che aveva ferito un uomo. Ma, come si diceva, il problema è complesso e nemmeno le pratiche di dissuasione sono in grado di risolverlo nel medio-lungo periodo. Per esempio, «la traslocazione è più utile per gestire l’opinione pubblica che per gestire gli orsi». E noi lo sappiamo bene, considerate tutte le ipotesi più o meno fantasiose proposte dal governatore della provincia autonoma di Trento così come dalle associazioni animaliste.

Leggi anche:  Cinzia Mescolini racconta "Lule", il suo esordio letterario

Un altro elemento di cui tenere conto, ben sapendo quanto possa stizzire le destre del mondo, è il riscaldamento globale che, secondo studi americani, ha un forte impatto sulle abitudini degli orsi che, per questo, tendono a un letargo più breve e, dunque, a mettersi alla ricerca di cibo di cui un tempo non avevano bisogno.

Se l’orso è un animale a noi idealmente vicino, qualche difficoltà in più potremmo averla nel pensare alla gestione della coabitazione tra esseri umani ed elefanti, problema annoso e quasi quotidiano in certe zone dell’India. Gli elefanti sono un pericolo costante per le popolazioni rurali, ma è confortante sapere che anche a quelle latitudini si tenti di istruire la gente. D’accordo, il fatto che una delle principali divinità del pantheon indù sia Ganesh, proprio il dio-elefante, aiuta a fare certe scelte. Ma educare una popolazione che rischia di fare brutti incontri con pachidermi maschi in calore o con leopardi che riposano all’ombra delle piantagioni di thè è comunque fondamentale.

Ma gli attacchi di quei felini sono considerati “difensivi”, a differenza di quelli che, con frequenza preoccupante, si verificano in un’altra zona dell’India, il distretto di Pauri Garhwal, nell’Himalaya, dove tra il 1918 e il 1926 al “leopardo mangiatore di uomini di Rudprayag” furono attribuiti centoventicinque omicidi. In realtà, il cacciatore inglese Jim Corbett che, alla fine, lo uccise e scrisse il best seller Il leopardo antropofago, diceva che avesse ammazzato circa quattrocento uomini prima del proprio intervento. Una cifra abbondantemente smentita: l’inglese pare che fosse leggermente megalomane. Ma il fatto che anche negli ultimi anni si siano registrati numerosi casi di attacchi “predatori” forse indica che quei felini temano meno l’uomo o, magari, che si siano visti ridurre progressivamente il territorio di caccia. Fatto sta che le autorità hanno optato per una politica selettiva: solo dopo tre o quattro “omicidi” comprovati, si passa all’abbattimento dell’esemplare. Anche perché, come denunciato da due naturalisti locali, se il paese fosse dotato di infrastrutture basilari come scuole e ospedali, molte vittime non avrebbero perso la vita, non dovendo percorrere a piedi in solitaria strade frequentate anche dai leopardi.

Leggi anche:  Riflessioni sul dolore: Byung-chul Han e il valore della sofferenza in una società algofobica

Mary Roach analizza la difficile convivenza tra umani e macachi, una specie che pare particolarmente nociva, insofferente e dispettosa, come se non avesse minimamente paura dell’uomo. Ma Wanted! analizza pure situazioni meno esotiche e solo in apparenza meno pericolose, come la presenza di volatili in zone aeroportuali in cui rappresentano un pericolo autentico per gli aerei in fase di decollo o atterraggio oppure come il rischio frequentissimo in certe zone degli Stati Uniti di andare a sbattere con l’automobile contro un cervo o, peggio ancora, un alce.

Wanted! di Mary Roach si legge d’un fiato. Come anticipato, fa spesso sorridere – di per sé, non certo una cosa brutta – pur trattando problematiche in larga parte drammatiche se non apertamente tragiche. Quale che sia la sua chiave di lettura, le domande poste dall’autrice fanno riflettere. Forse, le risposte non ci sono o, quantomeno, non sono univoche, ma aprire uno spazio serio di discussione è il primo passo.

Native

Articoli correlati