Le tante e diverse storie dei romanzi sulla resistenza
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Le tante e diverse storie dei romanzi sulla resistenza

Cinque libri da leggere nei giorni che anticipano e seguono il 25 aprile, Festa della Liberazione dal nazifascismo. La forza creativa e rievocativa di alcuni tra i più grandi scrittori italiani.

Le tante e diverse storie dei romanzi sulla resistenza
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22 Aprile 2023 - 16.41 Culture


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di Francesco Tunda

Leggere è essenziale per capire cosa è e cosa ha rappresentato il 25 aprile nella storia italiana. Leggere non solo i libri di scuola, ammesso che ancora in qualche scuola si faccia studiare, a chi nato alla fine del secolo scorso o all’inizio di questo, la storia del riscatto dal nazifascismo. Leggere i romanzi che su quel drammatico periodo sono stati scritti.

Sono molti i libri dai quali attingere per avere piena conoscenza di quei valori e attraverso i quali poter conoscere vicende personali e pubbliche. Noi ne abbiamo scelti cinque, non solo in base alla loro notorietà, ma anche per rappresentare i tanti diversi modi di narrazione e le tante diverse prospettive.

A leggerne alcuni brani sono le redattrici e i redattori di Culture.

La casa in collina di Cesare Pavese

Corrado, un professore di Torino, si rifugia in un paese di collina per sfuggire alla guerra e alla lotta partigiana.  Lì, in quel luogo, nella casa di Elvira e di sua madre, rimane in lungo dialogo con la propria vita e la propria coscienza.  Rumore e silenzio, città e campagna, tumulti e quiete. Difficile non rintracciare in questo romanzo alcuni tratti autobiografici dello stesso autore. Corrado è Cesare e, come Cesare, si trascina nell’inquietudine del vivere quotidiano, negli amori che sfumano sempre tra il reale e l’irreale. Frequentando un’osteria, incontra Dino, ipotetico figlio, e si tiene lontano dai tumulti dell’8 settembre del ’43. I nazisti compiono, però, una retata proprio in quell’osteria, che è diventata una sua seconda casa. Il giovane Dino diventerà partigiano, mentre il protagonista Corrado, incapace di compiere la stessa scelta se ne torna a Torino. Assistendo a un’imboscata dei partigiani, e vedendo i cadaveri dei fascisti, ritrova la sua umanità ma al contempo è spinto al suo tarlo esistenziale, all’incapacità di misurarsi con il male che in questo caso si chiama guerra. Torna, così, al suo rimuginare poetico sull’esistenza e sui suoi rifiuti alla vita sociale.

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Marialaura Baldino legge un brano tratto da La casa in collina di Cesare Pavese (1948)

Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino

Pin è un ragazzo che è costretto a misurarsi con il mondo dei grandi, con un mondo che è fatto di guerra e di lotta partigiana. Non lo capisce quel mondo e l’unico modo che ha per reggerne l’urto, per non farsi annientare da quel clima, è quello di indossare la corazza della strafottenza e del nascondimento in un rifugio che lo isola e protegge da quei problemi che hanno grandi, amori e passioni politiche, e dai grandi problemi che vive la sua terra. Per quanto potrà restare lontano dalla realtà? Per quanto potrà proteggersi dall’invadenza del mondo? Questa tana non è destinata a rimanere segreta e il bambino dovrà fare i conti con la verità. Un amico lo aiuterà a uscire da quel sentiero.

Costanza Valdina, in un suo recente scritto, ci ha ricordato che, nell’ottobre del 1947, Cesare Pavese recensendo su l’Unità questo libro lo definiva come  «il più bel racconto che abbiamo sinora sull’esperienza partigiana, nessuno sarà troppo commosso. Non ce ne sono stati altri. Diremo allora che l’astuzia di Calvino, scoiattolo della penna, è stata questa, di arrampicarsi sulle piante, più per gioco che per paura, e osservare la vita partigiana come una favola di bosco, clamorosa, variopinta, diversa».

Elena la Verde legge un brano tratto da Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino (1947)

Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio

Johnny è un giovane sottoufficiale italiano, che dopo l’8 settembre del 1943 decide di unirsi ai partigiani che stanno combattendo per la Liberazione. Gli amici lo chiamano così, con questo nome, proprio perché  è un patito della letteratura inglese. Si unisce ad un raggruppamento di partigiani comunisti, ma non ne apprezza i modi organizzativi e spesso li critica. Riesce a sfuggire a un rastrellamento dei nazifascisti e subito dopo si unisce ai seguaci di Badoglio. Ma la resistenza non è finita e il partigiano Jonny con le sue personali idee continua a combattere. E’ considerato uno dei romanzi più diretti e interessanti, che descrive la vita dei partigiani e le diverse forme che assume la resistenza. Come nota Vladislav Karaneuski, in una sua recente nota critica, di particolare interesse è proprio la lingua che Fenoglio usa per narrare la storia, cioè il “fenglese”, un misto tra inglese, italiano e lessemi inglesi italianizzati. Una caratteristica espressionista che emerge peculiarmente nella prima stesura, ma che per ragioni editoriali verrà un po’ limitata nella seconda.

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Manuela Ballo legge un brano tratto da Il partigiano Jhonny di Beppe Fenoglio (1968)

La ragazza di Bube di Carlo Cassola

Il romanzo di Cassola è ambientato in un piccolo paese della Val d’Elsa ed è li che Mara, all’indomani della Liberazione, conosce il partigiano Bube, eroe della Resistenza. Immancabilmente se ne innamora. Il fatto è che Bube non riesce a vivere la vita ordinaria di tutti i giorni, commettendo un delitto. Si dà alla macchia ma viene però catturato e condannato a quattordici anni di carcere. Mara decide, con ostinazione, di aspettarlo, proprio mentre il partito comunista, dal quale si aspettava protezione e comprensione, lo abbandona. Il romanzo esce nel 1960 per Einaudi e rompe, per il modo che Cassola ha di narrare la vicenda, con le forme neorealistiche con le quali, fino ad allora, si era raccontata la lotta partigiana e il dopoguerra. Con questo libro, che ha suscitato anche molte polemiche, Carlo Cassola si aggiudica il Premio Strega. I personaggi del romanzo diventano ancor più famosi dopo che, nel 1963, ne viene fatta una versione cinematografica per la regia di Luigi Comencini e l’interpretazione di Claudia Cardinale.

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Irene Perli legge un brano tratto da La ragazza di Bube di Varlo Cassola (1960)

Se non ora quando di Primo Levi

Primo Levi racconta le avventure di alcuni dei partigiani ebrei polacchi e russi che seppero resistere alla furia di chi voleva sterminarli. Racconta, come in un diario, del lungo viaggio che li porta dalle foreste della Russia Bianca, alla Polonia, in Germania e, infine, a Milano. Vi sono narrate le perizie, i trucchi per scappare alle retate, i mille modi per sopravvivere. Tante descrizioni di uomini si alternano a quelle dei luoghi; si dicono gli atti di coraggio ma non si tace sulla paura. La vena è sostanzialmente ironica . “Se non ora, quando?” è il primo romanzo dell’autore che si è imposto al grande pubblico, vincendo, quando uscì nel 1982, il Premio Campiello e il Premio Viareggio. Come ha ricordato Anna Foa, proponendo, nel 2018, una rilettura di questa opera. Il  titolo, così intrigante, è stato da Levi ripreso da un brano del Pirgé Avoth (le Massime dei Padri), una raccolta redatta nel II secolo d. C. che fa parte del Talmud: «Diceva Hillel: “Se non sono io per me, chi sarà per me? E quand’anche io pensi a me, che cosa sono io? E se non ora, quando?”».

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