Nel pomeriggio del 10 marzo 1921 Enrico De Nicola, Presidente della Camera dei deputati, cede la parola al deputato socialista Giacomo Matteotti.
L’Italia è allo sbando, di fatto è in corso una vera e propria guerra civile, anche se i più non se ne danno per intesi.
Come si dice facciano gli struzzi con la testa, milioni di italiani insabbiano le loro coscienze, si fingono ciechi e sordi alle violenze dilaganti d’un’accolita di violenti che si nascondono dietro le bandiere e i gagliardetti di una formazione politica di nuovo conio, i Fasci italiani di combattimento, fondati da un ex socialista, già direttore dell’Avanti!, ora d’un giornale a lui fondato, Il Popolo d’Italia: tal Benito Mussolini.
Terrorizzati dallo spettro rosso che s’aggira per l’Europa, che minaccia di sovvertire vecchie ingiustizie, di scardinare antichi privilegi, di ridistribuire le ricchezze, gli italiani tollerano e silenziosamente appoggiano le masnade di facinorosi che spadroneggiano nelle città, nei paesi, nei campi d’un Paese spezzato da una guerra pur vittoriosa, sotto l’occhio chiuso delle autorità.
Il sottosegretario agli Affari Interni Camillo Corradini, in replica ad una precedente denuncia di Matteotti sulle efferate violenze delle squadre fasciste che imperversano nelle campagne e nelle città dell’Emilia commettendo impuniti i crimini più efferati, ha appena ricondotto quelle violenze nel quadro delle lotte agrarie per il rinnovo del concordato agricolo. Corradini ha anche riconosciuto “l’intemperanza” degli agrari, che notoriamente foraggiano e armano la teppaglia in camicia nera asservita ai loro interessi di casta, e ha assicurato che il governo sta facendo il necessario per reprimere le spedizioni fasciste.
Al termine del suo intervento, il presidente De Nicola cede la parola al deputato Matteotti per dargli la facoltà di dichiarare la sua soddisfazione.
Agli assonnati e soddisfatti anziani aristocratici e borghesi assiepati sugli scranni di Montecitorio, Matteotti dice queste parole: “Nel cuore della notte, mentre i galantuomini sono nelle loro case a dormire, arrivano i camion dei fascisti nei paeselli, nelle campagne, nelle frazioni composte di poche centinaia di abitanti; arrivano naturalmente accompagnati dai capi dell’Agraria locale, sempre guidati da essi, poiché altrimenti non sarebbe possibile riconoscere nell’oscurità in mezzo alla campagna sperduta la casetta del capolega o il piccolo miserello ufficio di collocamento. Si presentano davanti a una casetta e si sente l’ordine: circondate la casa. Sono venti, sono cento persone armate di fucili e di rivoltelle. Si chiama il capolega e gli s’intima di scendere. Se il capolega non discende gli si dice: se non scendi ti bruciamo la casa, tua moglie, i tuoi figlioli. Il capolega discende, se apre la porta lo pigliano, lo legano, lo portano sui camion, gli fanno passare le torture più inenarrabili fingendo di ammazzarlo, di annegarlo, poi lo abbandonano in mezzo alla campagna, nudo, legato a un albero! Se il capolega è un uomo di fegato e non apre e adopera le armi per la sua difesa, allora è l’assassinio immediato che si consuma nel cuore della notte, cento contro uno. Questo è il sistema del Polesine”.
Per una volta, l’aula gonfia d’ignavi ascolta in silenzio le parole del deputato socialista che dipinge davanti ai loro occhi insonnoliti dalle crapule prandiali la barbarie nella civilissima Italia. Per una volta, nell’emiciclo non risuonano proteste, accuse, sghignazzi, irrisioni. Non ancora, almeno. Con frasi piane, insolitamente spoglie di retorica, in tono concreto e fattuale, Matteotti recita l’agghiacciante elenco di reati e bestiali nefandezze che stanno scuotendo le fondamenta della civiltà: nomi di paesi, di contrade, di strade e di persone, dettagli minuti di sopraffazioni, intimidazioni, torture, assassinii. Salara, Pettorazza, Pincara, Adria, Loreo, Ariano, Lendinara… e le città: Bologna, Ferrara, Firenze – in pochi mesi l’Italia è ripiombata nel Medioevo. Notte dopo notte, giorno dopo giorno, incendi torture omicidi. Quando qualcuno la notte batte alla tua porta, è come un destino: sei spacciato. E lo Stato, le forze dell’ordine? Già, quale ordine? Lo Stato è assente, le forze dell’“ordine” conniventi: i colpevoli non vengono cercati, assicurati alla giustizia, condannati. “Qui si tratta di un assalto” grida adesso Matteotti, “di un’organizzazione di brigantaggio. Non è più lotta politica; è barbarie; è medioevo”.
Questa l’Italia nel 1921. Sono passati cento anni, il tempo ha annebbiato le memorie, offuscato le pagine di storia, appannato le coscienze. Eppure ben conosciamo i frutti avvelenati raccolti da quella messe di violenza e di barbarie.
Conosciamo le puntuali risorgenze della violenza fascista che punteggiano come pustole purulente la storia di questo disgraziato Paese ad ogni crisi, ogni snodo, ogni svolta. Conosciamo il patto scellerato che puntualmente lega gli uomini d’un potere che si autoperpetua in forza della sua mostruosa ricchezza, nemico giurato di ogni forma autenticamente democratica, di ogni realizzazione concreta di giustizia, di civiltà. Conosciamo la diabolica abilità di queste forze occulte di intorbidare le coscienze, di sommuovere gli istinti peggiori degli esseri umani. Conosciamo lo sporco gioco che li porta a servirsi della manovalanza delinquenziale per i loro scopi. Conosciamo la loro spregiudicatezza nel traviare i fatti, l’abilità di burattinai della politica, della finanza. Conosciamo la loro capacità di manipolare i nemici, di rivolgerli contro se stessi in una lotta fratricida che annulla ogni dissenso. Conosciamo questo e altro, eppure assistiamo inermi, qualunque cosa succeda.
Come i nostri progenitori, insabbiamo le coscienze sotto una coltre di finzione. Tanto, ci rassicuriamo con voce chioccia, la storia non si ripete.
Altri tempi, altri personaggi, oggi è diverso. E se pestano qualche giornalista, se aggrediscono qualche sfigato che si schiera coi poveracci, qualche fallito che si sgola a denunciare qualche ingiustizia, qualche don chisciotte che si mette in capo di difendere i diritti dei più deboli, che sarà mai?
Se qualcuno spara contro i migranti, se qualche ministro semina odio, rinfocola razzismi, propone la legge del taglione, che sarà mai?
Le preoccupazioni lasciamole ai pessimisti di natura, ai fantasiosi complottisti, alle Cassandre intristite. Tanto, ci ripetiamo come in un mantra consolatorio, siamo al sicuro: la storia non si ripete.