I giorni lenti del lockdown raccontati con ironia da Marco Presta ne: "Il prigioniero dell'interno 7"
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I giorni lenti del lockdown raccontati con ironia da Marco Presta ne: "Il prigioniero dell'interno 7"

Marco Presta è riuscito nell’impresa non facile di raccontarci con fine ironia quei giorni lenti del lockdown, senza risultare irrispettoso del dramma vissuto da tante famiglie, né tanto meno scivolare nel buonismo

I giorni lenti del lockdown raccontati con ironia da Marco Presta ne: "Il prigioniero dell'interno 7"
Marco Presta
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22 Febbraio 2023 - 19.14


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di Antonio Salvati

Diciamoci la verità. Sembra trascorso un tempo infinito da quando il Covid-19 era emergenza nazionale. Non solo il primo Covid-19, quello di Wuhan, che ci ha chiuso in casa mesi e ci ha fatto temere che tutto fosse finito. Anche i media guardano con grande distacco a quanto accaduto tre anni fa, nel marzo del 2020, quando iniziò il grande lockdown. Come un evento lontano di cui dimenticarsi presto. Eppure non è andata così. In realtà, il Covid-19 è entrato prepotentemente nella vita di ciascuno. Le prime notizie lo descrissero subito pericoloso e inquietante. Mai avremmo pensato che in poche settimane esso avrebbe sconvolto il mondo intero, travolgendo la vita individuale di ciascuno, mettendo in crisi le strutture e le pratiche sanitarie, trasformando le nostre città in grossi ghetti silenziosi con le strade vuote e con una parte crescente dei loro abitanti costretti a vivere di carità e di soccorso pubblico. La vita ci cambiò ogni giorno in maniera impercettibile.

Marco Presta, noto conduttore radiofonico, attraverso Vittorio, protagonista del suo ultimo romanzo, Il prigioniero dell’interno 7 (Einaudi 2022, pagine 192, euro 16,00), è riuscito nell’impresa non facile di raccontarci con fine ironia quei giorni lenti del lockdown, senza risultare irrispettoso del dramma vissuto da tante famiglie, né tanto meno scivolare nel buonismo. Direbbe con grande sagacia Vittorio – abile produttore di aforismi, disseminati nel romanzo – che «continuare a cercare il lato comico della vita è una forma di resistenza all’orrore che stiamo vivendo, un modo per non dargliela vinta. Finché riusciamo a ridere, non ci ha sconfitti del tutto».

Vittorio, quarantenne, fa il giornalista, anzi il corsivista per un quotidiano nazionale, raccontando e commentando vicende strane quanto curiose. La pandemia lo sconvolge, in un attimo la sua vita cambia, come a milioni di persone. Deve fare i conti con una realtà inaudita e il suo universo finisce per coincidere quasi esclusivamente con il proprio condominio. Non solo. Floriana, conosciuta poco tempo prima del lockdown, con la quale ha una relazione sentimentale, decide di andare a vivere da lui. Floriana è una donna bellissima, esuberante, piena di energie e di senso pratico: «sono esaltato, terrorizzato, eccitato, preoccupato, invasato dalla prospettiva. La mia piantagione di abitudini rischia di venire cancellata in pochi istanti dall’arrivo di questa provocante locusta. È una creatura incontenibile, non esistono barili, cisterne, serbatoi che possano racchiuderla, finirà inevitabilmente per traboccare e allagare la mia esistenza. Vivere, lavorare, annoiarsi, leggere un libro, parlare al telefono con mia madre, niente sarà più pervaso dal delizioso, indispensabile senso di squallore della quotidianità».Insieme a Floriana, anche gli inquilini del suo palazzo, prima guardati con sufficienza, adesso, lo coinvolgono in diverse vicissitudini. Spesso suo malgrado. Un’umanità – quella del suo condominio – decisamente imprevedibile e variegata: dal malato di Alzheimer alla veterinaria gentilissima e altruista; dal vicino in crisi a causa della chiusura del suo bar ad una vicina che “noleggia” a pagamento il suo cane da portare a passeggio. Tante situazioni ed episodi esilaranti che mettono in crisi la voglia di tranquillità del cinico Vittorio, «anche se la tranquillità è un po’ come Dio: ognuno di noi ne ha un’idea diversa». Con alcune consapevolezze forti: «è la paura che ci accomuna tutti e ci rende fratelli. Non la solidarietà, non l’amore né la speranza in un domani migliore, tutte minchiate che abbiamo inventato per nobilitare la nostra specie, altrimenti vittima di una meschinità spontanea e ineguagliabile. Siamo uniti dalla paura. Il campionario delle angosce è molto vario, ognuno può scegliere quella che lo convince di più: paura di non essere capiti, di perdere il posto di lavoro, paura che la persona amata non contraccambi il nostro sentimento oppure ci tradisca, paura di non raggiungere il successo oppure di perderlo». Vittorio – e Marco Presta – non sopportano lo slogan del momento «andrà tutto bene», ma «nelle epidemie come nelle guerre, si finisce per aggrapparsi alla retorica».

La pandemia di Covid-19 ci ha posto in una situazione di difficoltà drammatica e di portata globale. È un mondo che cambia in cui la gente si abitua a stare da sola e lontana dagli altri. Alla paura della pandemia si sono aggiunti la solitudine e l’isolamento: «ho paura di uscire di casa. Non voglio ingigantire il problema, ma credo che il terrore del mondo esterno potrebbe complicarmi parecchio la vita, nei mesi a venire. In questo appartamento e solo in questo appartamento mi sento al sicuro, fuori c’è un’umanità infetta e priva di regole che non m’ispira nessuna fiducia».Vittorio sembra l’uomo meno adatto a occuparsi degli altri. Ma la pervasività della minaccia del Covid-19 ha messo in discussione evidenze che nel nostro sistema di vita venivano date per scontate: «la verità, in fondo, è che non avevo capito nulla, la mia percezione della realtà è irrealistica, la mia mancanza di acume desolante. Ho travisato (…) il modo di essere di Floriana, i sentimenti di Gloria, la solitudine di mia madre: insomma, tutto». Vittorio improvvisamente si trova a fare qualcosa per gli altri. E lo fa. Non è un merito da poco. Magari scoprendo che può essere felice, tirando fuori quella sorta di eroismo che ciascuno tende a mantenere nascosto. Che qualche volta riusciamo a tirare fuori. È il grande merito di Vittorio, un uomo strutturato per essere isolato e farsi gli affari propri. Alla fine riesce a generare gesti di solidarietà che lo rendono migliore, più umano. Anche più autentico.

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