Dal 1949 ogni anno personalità con meriti particolari verso l’integrazione europea vengono insigniti dalla città tedesca di Aquisgrana del “Premio Carlomagno”. Capire i motivi di questa intitolazione consente osservazioni di qualche interesse.
Nella Vita di Carlo Magno, il suo consigliere Eginardo ne esaltava la capacità di essere sovrano di molti popoli e aperto a quelle relazioni esterne che oggi chiamiamo “internazionali”: “Egli accrebbe la gloria del suo regno – scriveva – guadagnandosi l’amicizia di alcuni re e popoli”. Intorno all’anno 799 anche un poeta anonimo aveva composto un poemetto che lo omaggiava (conosciuto come Karolus Magnus et Leo papa) riconoscendolo come successore degli imperatori romani e salutandolo come «rex pater Europae», il re padre dell’Europa.
L’idea che Carlo, re dei franchi, si mettesse a capo di un Impero, per la verità, di padri ne ebbe almeno due, e l’altro fu papa Leone III. Carlo era l’unico sovrano al mondo in grado di ristabilire l’autorità del papa, minacciata dalle proteste del popolo romano, ma proprio per questo – così si accordarono i due – bisognava che tutti cristiani in Occidente lo riconoscessero come guida. Carlo, perciò, avrebbe lasciato Aquisgrana e si sarebbe diretto a Roma, dove avrebbe spento la rivolta, sarebbe stato acclamato imperatore come in altri tempi era accaduto ad Augusto e Costantino. Cosa che accadde nell’anno 800. Da quel momento Carlo fu legittimato a intervenire nelle faccende di Roma e di tutto il popolo cristiano, dunque ad agire sulla parte cristiana del continente europeo.
Lo storico francese Jacques Le Goff, riprendendo l’opinione del grande medievista italoamericano Roberto Sabatino Lopez, ha definito però quella dell’Europa di Carlomagno una “falsa partenza”. Dell’Impero da lui costruito non facevano parte, infatti, le isole britanniche (in mano ad anglosassoni e irlandesi), la penisola iberica (in gran parte conquistata dai musulmani che dominavano anche l’Italia meridionale e la Sicilia), la Scandinavia (rimasta pagana), né buona parte della Germania, né i paesi slavi: dal punto di vista geopolitico si trattava di qualcosa di simile – ha scritto Alessandro Barbero – all’Europa pensata dai padri fondatori a metà del Novecento, ma pur sempre una realtà molto più piccola del continente.
Ma al di là della dimensione geopolitica dei paesi interessati, la “falsa partenza” del IX secolo è determinata dal fatto che l’incoronazione a imperatore, più che a un progetto per l’avvenire d’Europa somigliava a un ritorno al passato, per quel suo sforzo di resuscitare l’Impero romano (anche se senza la sua parte bizantina). Quella partenza fu “falsa” anche perché – se pure è vero che unificò parte dell’Europa occidentale, comprendente quelle che oggi sono la Francia, il Belgio, parte della Germania e l’Italia centro- settentrionale, Carlo non pensò mai di essere “europeo”. Fece, questo sì, lo sforzo di unificare dal punto di vista amministrativo e militare un’ampia porzione d’Europa, e rimane per questo una delle figure più importanti del suo tempo. Fa riflettere il fatto che ancora oggi francesi e tedeschi si contendano l’attribuzione della nazionalità di questo sovrano che, in realtà, non fu né francese né tedesco, fu un re franco e un imperatore di discendenza germanica che guardava alla tradizione romana e cristiana.
Del resto quante altre volte, dopo il IX secolo, si è indicato un momento o un evento o un uomo come quello che ha determinato la nascita dell’Europa! Nel 1453 Enea Silvio Piccolomini pensava già che l’Europa fosse un avvenire auspicabile (nel De Europa), poi si aprì una nuova possibilità nel 1648, quando i trattati di Vestfalia posero fine a una guerra interna all’Europa che era durata trent’anni e quando vari paesi iniziarono a consorziarsi contro il pericolo incombente rappresentato dai turchi ottomani. E di nuovo sembrò profilarsi la possibilità di un percorso unitario nel 1815, quando i popoli del continente si liberarono da Napoleone. E più concretamente nel 1945, quando uscirono dal vicolo cieco in cui li avevano sospinti le ideologie nazionaliste e si liberarono da Hitler, immaginando che fosse arrivato il momento di integrarsi in un’entità sovranazionale. Nel 1958 il Trattato di Roma pose le basi per eliminare le barriere commerciali tra gli stati membri e infine nel 1993 con il Trattato di Maastricht l’Unione Europea fu formalmente istituita, per essere poi progressivamente allargata. Nel 1999 l’euro è divenuto la valuta di oltre 300 milioni di cittadini europei.
Nonostante questo lavorìo millenario ancora oggi si trascina, non risolto, il problema di un confine europeo orientale – soltanto nel corso del XIX secolo fissato dai moderni geografi alla catena degli Urali e al fiume Ural – che non si è costituito con la nettezza e la naturalità dettata a sud, ad ovest e a nord dal Mediterraneo, dall’Oceano e dai mari, portandosi dietro un lungo strascico di tensioni, guerre, scontri e negoziazioni. L’Europa, insomma, non si è costituita d’un colpo, ma ha sofferto le lentezze e le incertezze della costruzione degli uomini. La sua storia collettiva è articolata, straordinariamente varia e risultato della stratificazione delle sue singole storie.
Quanto a Carlomagno e al suo ruolo di unificatore, l’imperatore ci appare una figura storica di confine perché ha regnato in un’età in cui l’Europa non è mai esistita come realtà politico-istituzionale e in cui tuttavia una coscienza europea cominciava pian piano a emergere: anche grazie alla capacità del sovrano di immaginare per l’Impero un’unica cultura e un’economia più integrata e alla sua intuizione che si potesse individuare nella memoria storica di Roma antica qualcosa che aveva ancora una forza straordinariamente fondante.