Il matrimonio tra ragione e sentimento come atto creativo di una colonna sonora
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Il matrimonio tra ragione e sentimento come atto creativo di una colonna sonora

Intervista con il compositore Fabrizio Campanelli, coautore di "La mia Queen", brano originale del nuovo film di Donato Carrisi "Io sono l'abisso", interpretato da Shoker MC

Il matrimonio tra ragione e sentimento come atto creativo di una colonna sonora
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

8 Novembre 2022 - 10.07


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Nella colonna sonora di Io sono l’abisso, tratto dall’omonimo thriller di Donato Carrisi, di cui lo scrittore è anche regista, spicca un brano originale, “La mia Queen”, firmato e prodotto dai compositori Fabrizio Campanelli e Vito Lo Re con la collaborazione del cantautore Fabio Riccio. Il singolo, interpretato da Shoker MC, è già disponibile sulle piattaforme digitali. I toni lividi del film, l’abisso dell’anima messo a nudo dalle immagini di Carrisi, trovano espressione in questo pezzo che si discosta decisamente dal resto del commento musicale, strumentale e intimista, con una forza destinata a far breccia tra gli spettatori e a vivere di vita propria.

Abbiamo intervistato Fabrizio Campanelli, affermato autore di colonne sonore: dal sodalizio col regista Luca Lucini sono nate quelle dei film Solo un padre, con cui è stato candidato al David di Donatello, ai Nastri d’Argento e al Golden Graal nel 2009, Nemiche per la pelle del 2016 e Come diventare grandi nonostante i genitori, con cui è stato candidato al David di Donatello nel 2017. Ha inoltre composto le musiche del docu-film Fukushima: a Nuclear Story di Matteo Gagliardi, vincitore del DIG Award nel 2016, nonché di numerose campagne pubblicitarie e di spettacoli teatrali. 

Com’è nata in lei la passione per la musica?

Quando avevo pochi anni, in modo del tutto istintivo, mi avvicinavo ai pianisti per schiacciare dei tasti insieme a loro. Davo per scontato ovviamente che avrebbero solo apprezzato, ma forse non era proprio così… Mio padre ascoltava tantissima musica classica e io con lui di riflesso: finì alla fine che presi in blocco giradischi e vinili e li misi in camera mia. Adoravo ascoltare, ma adoravo anche vedere la magia del braccetto che si poggiava sul disco: una piccola azione meccanica che preparava all’apertura della finestra su un mondo magico. Wagner e Beethoven erano in heavy rotation e dalle elementari avevo già iniziato a suonare il piano. Mentre i miei amichetti canticchiavano i Duran Duran io fischiettavo Bach, ma dopo un po’, a forza di suonare il pop alle feste per farli contenti, capii che anche loro in effetti potevano avere delle buone ragioni. Insomma la morte di Sigfrido era imbattibile, ma devo dire che alla fine “Save a Prayer” diventò una delle mie canzoni preferite. Parallelamente crebbe l’amore per il cinema e con esso l’amore per tutta la musica che era in grado di evocare scenari, immagini potenti, sogni, indipendentemente dal tipo di stile o di linguaggio e che era in grado di fondersi con le scene in un modo così forte da creare qualcosa di unico e incredibile.

Lei spazia dal cinema al teatro, dagli spot ai documentari, dalla discografia alla televisione: qual è l’ambito che trova più congeniale?

Al di là della specificità degli ambiti mi trovo a mio agio con tutto ciò che ha veramente qualcosa da dire in modo forte e sincero. Nell’audiovisivo a volte capita che arte e intrattenimento si uniscano in un matrimonio piuttosto infelice: dove c’è povertà di contenuti non è mai facile trovare degli spunti, degli ancoraggi. Cinema e teatro sono forse i più impegnativi per l’ampio arco narrativo che richiede una visione estesa, organica oltre che il maggior impiego di tempo e risorse. Ma anche gli spot offrono grandissime soddisfazioni quando la musica è chiamata a rivestire un ruolo fondamentale nella costruzione della identità e della personalità del brand. La differenza, per fare un esempio, è come quella che può avere uno scrittore di romanzi che si trova a scrivere un racconto breve, o quella di un fondista che si cimenta nella corsa dei cento metri. Posso dire di essere molto fortunato, perché alternando lavori che richiedono linguaggi diversi su progetti dalla forte identità e personalità riesco a evitare di isolarmi in un recinto specifico da cui poi è difficile uscire; in un certo senso riesco a essere artisticamente ogni volta una persona diversa, a cambiare pelle e regole del gioco, a passare dall’orchestra sinfonica alla sperimentazione elettronica, dall’orchestrazione più classica alla canzone pop, con la sensazione impagabile di trovarsi sempre di fronte a qualcosa di nuovo.

Quali suggestioni ha inteso trasmettere con “La mia Queen” e in che modo le forti immagini della pellicola l’hanno ispirata?

Quando Vito Lo Re, che ha scritto le bellissime musiche di Io sono l’abisso di Donato Carrisi, mi ha chiesto di collaborare alla scrittura di una canzone originale per il film, ci siamo subito trovati a tracciare un quadro che fosse figlio delle dinamiche psicologiche del film e delle sue luci, dei suoi colori. La fotografia ha giocato un ruolo fondamentale nel costruire l’impianto sonoro della canzone e la dinamica della relazione fra il serial killer e la ragazzina ha fornito lo specchio in cui riflettere il racconto del protagonista della canzone, interpretata da Shoker MC, che compie un percorso di consapevolezza nella scoperta del valore di ciò che ha scardinato l’ordine malato, direi patologico, della sua esistenza, e che non c’è più. In un certo senso la perdita stessa dà valore a ciò che si è perso e ciò che si è perso è tutto ciò che ha spostato il pendolo dal polo della morte a quello della vita, intesa non tanto come esistenza, ma come piena fusione col tutto, fosse anche per un solo secondo.

Nella composizione si lascia trascinare dall’elemento visivo o mantiene un controllo più concettuale?

Ragione e sentimento giocano insieme la stessa partita, ma parto sempre da quest’ultimo, se per sentimento intendiamo la percezione di tutto ciò che non appare a prima vista perché sottotraccia, nascosto alla realtà visibile ed è da rivelare fra le pieghe del non detto. La visione ripetuta infinite volte, anche muta, è essenziale per iniziare a materializzare tutta la struttura di senso che il compositore, tramite la musica, invierà direttamente all’inconscio dello spettatore e che ha un’infinità di relazioni con gli elementi visivi di scena e che si integrano con l’ampio orizzonte delle suggestioni psicologiche e del racconto stesso. Immediatamente dopo subentra la ragione che permette di organizzare il materiale per centrare allo stesso tempo sia l’effetto estetico che l’obiettivo funzionale. Quando non ci sono ancora le immagini e si parte dalla sceneggiatura, le visioni diventano quelle indotte dal nostro immaginario: a volte coincidono con ciò che veramente sarà messo in scena, a volte invece saranno tradite dal corso della lavorazione cambiando le carte in tavola.

Quali progetti ha in cantiere per il futuro?

Ci sono due film in uscita per cui ho scritto la colonna sonora, di cui uno, per la Rai, è in chiusura proprio in questi giorni, una canzone originale per una campagna pubblicitaria e poi un bellissimo musical teatrale in preparazione, anche se il termine musical in questo caso è decisamente riduttivo. Spero davvero che le persone tornino a frequentare quanto prima i cinema e i teatri con lo stesso entusiasmo che avevano prima che giungesse questa drammatica e maledetta pandemia che ha avuto ripercussioni devastanti su tutto il settore.

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