Le parole sono figure alate

In ogni periodo storico hanno creato sistemi di valori e pratiche di riferimento. Abbiamo chiesto perciò alle ragaaze e ai ragazzi della redazione di declinare le parole che a loro avviso hanno caratterizzato questa fase politica. Di seguito i loro pareri

Le parole sono figure alate
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Maurizio Boldrini Modifica articolo

2 Novembre 2022 - 10.45 Culture


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Una volta mandata fuori la parola vola via irreparabile. Lo scrive Orazio, in latino naturalmente (“Semel emissum volat irreparabile verbum”).  Vanno come figure alate e creano senso comune: destini personali e sociali o il successo di alcuni stili di vita, o il prevalere di una cultura o di una politica. Creano un sistema di valori e di pratiche al quale ciascuno di noi, spesso inconsapevolmente, fa riferimento.   Così fu nell’Italia fascista; così nella breve e decisiva stagione dell’unità antifascista che ci ha portato in dono la nostra bella Costituzione, così fu nel paese dominato dalle due sub culture – quella cattolica e quella comunista, quando ogni gesto e ogni parola in quella stagione segnava un’appartenenza. 

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Le parole della politica, anzi la stessa comunicazione politica, ha usato poi le parole della pubblicità e del marketing nell’era televisiva, e più in generale, ha seguito la logica e l’evoluzione del sistema mediale.  Fino allo storytelling, che altro non è che un modo di raccontare la vita dei leader e dei partiti più adatto agli agili mezzi dell’ambito digitale. E poi i talk che hanno portato definitivamente anche la politica nella sfera della informazione-intrattenimento. “Il fenomeno della comunicazione politica –  ha notato Sara Bentivegna – è entrato prepotentemente nella vita degli italiani, al punto di segnare l’idea stessa di politica”.

Tutto si può dire della linea intrapresa dal nascente governo italiano tranne che sia anonima o neutrale. Le parole scelte per denominare i ministeri, il linguaggio usato dalla leader nei comizi e, anche, nei discorsi ufficiali, indica un modo di parlare e di scrivere che si rifà al sistema valoriale della destra italiana. Di quella storica. E di quella più recente, emersa con il protagonismo dei nazionalismi che hanno raccolto il consenso di quelle frange di società e di quelle forze politiche che hanno digerito male le spinte di una globalizzazione che, troppo spesso, ha prodotto crisi e lacerazioni negli stessi sistemi democratici. Compresi quelli storici: guardiamo alla storia recente degli Usa e della Gran Bretagna.  Questa fase della globalizzazione è stata, conseguentemente, percepita come un sistema privo di valori. La destra ha trovato un suo lessico. La sinistra è stata muta e non ha trovato le parole adatte a capire e far capire questa fase di sconvolgimento storico.

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Il nuovo linguaggio si affermerà come un prontuario d’una fase di passaggio o diventerà una lingua d’uso comune e di una pratica generalizzata? Lo dirà il tempo.

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