Barbero, come comunicare la storia con successo mentre il dibattito storico è marginalizzato
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Barbero, come comunicare la storia con successo mentre il dibattito storico è marginalizzato

Trabucco parla dello storico e si interroga sulla funzione dell’apprendimento per gli studenti in particolare e, contestualmente, sulla necessità di nuovi spunti metodologici che stimolino l’apprendimento

Barbero, come comunicare la storia con successo mentre il dibattito storico è marginalizzato
Alessandro Barbero
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25 Giugno 2022 - 21.15


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di Antonio Salvati
Alessandro Barbero, professore di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale, è divenuto negli ultimi vent’anni una celebrità del web grazie all’enorme successo delle sue conferenze postate su YouTube. Evidentemente, in questo momento, è il più popolare storico nel Paese, un eccellente narratore, grazie alle sue innegabili capacità divulgative. Diventato un personaggio di caratura nazionale, è conosciuto da un pubblico ampio e non specialistico, senza sottomettersi alle logiche banalizzanti e agli stereotipi dei talk show o dei social network.

Del suo successo si è occupato Michele Trabucco con il volume Comunicare la storia con successo: il caso di Alessandro Barbero (Albatros 2022, pp. 156 € 13,90). Trabucco si interroga sulla funzione e la funzionalità dell’apprendimento storico per gli studenti in particolare e, contestualmente, sulla necessità di nuovi spunti metodologici che stimolino l’apprendimento, l’elaborazione e la costruzione di un sapere non solo teorico ma oggettivamente utile ai più giovani per imparare a comprendere il presente, «in – come sostiene Michele Mastroianni nell’introduzione – funzione di un passato che di esso è parte, ancora nella piena contemporaneità».

Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, che impreziosisce il volume con una prefazione, giustamente ricorda che è facile dimenticare la lezione della storia o credere di potere ignorarla, di non accettare la sfida di una conoscenza complessa dei fenomeni. E come sappiamo «quando questo avviene siamo destinati a ripetere le sofferenze che la storia contiene».  Spesso la cronaca e le risposte facili – ricorda il cardinale – hanno la meglio sulla riflessione, «sulla memoria, sul rigore della ricerca, sul non strumentalizzare operando letture irrazionali, fantasiose, solo per confermare la propria idea o esperienza, uscendo dalla complessità e dal tempo». Tuttavia, indubbiamente «senza storia viviamo fuori dal tempo, come perennemente schiacciati sul presente e quindi anche incapaci di comprenderlo».

Tornando a Barbero, siamo certamente in presenza – come dice l’autore – di uno storico «che ha la capacità di scorrere tra le diverse epoche del passato e agganciarle al presente, il suo “andirivieni” tra passato e presente. Come diceva Bloch, rende il suo stile particolarmente accattivante e comprensibile al grande pubblico. I personaggi del passato sono presentati in modo da potersi rispecchiare in essi, poiché ne sottolinea i contrasti, le similitudini con l’uomo d’oggi e perché li dipinge con estrema umanità». Ascoltandolo si ha la percezione che «la distanza tra il nostro mondo, le nostre prospettive e i nostri sguardi e quelli del passato, degli uomini e delle donne, sembrano annullate o almeno fortemente accorciate. Per lui è importante capire la storia perché ci aiuta a capire noi stessi, le bestie che siamo noi. Ma non è un modo per predire il futuro. Rivela la funzione educativa e sociale della storia. Ne è profondamente convinto. Altrettanto caratteristica è la sua gestualità, del viso e delle mani. Ha il volto sempre sorridente, con dei lineamenti delicati e armoniosi, per cui traspare una sorta di serenità e di felicità. Il gesto del pugno, delle braccia allargate o in movimento aiutano a rafforzare il suo tono di voce e la sua passione per il racconto».

Nelle sue conferenze riesce a coinvolgere il pubblico con qualche battuta di spirito, una sorta di quella tecnica retorica che gli antichi chiamavano captatio benevolentiae. Basta ascoltarlo per notare come intervalla argute battute e ironiche affermazioni all’interno del discorso storico. Riesce sempre, prima o poi, a strappare al pubblico un sorriso se non una sonora risata.

Si potrebbe obiettare che Barbero rappresenta una lodevole eccezione. Infatti, assistiamo con rammarico alla crescente marginalizzazione del pensiero storico nel dibattito pubblico contemporaneo. Lo storico Agostino Giovagnoli ha più volte sottolineato che la conoscenza storica non è cosa del passato. In un mondo sempre più complesso, sotto la forte spinta del presentismo, è invece sempre più necessario fare storia e leggere storia. In realtà in un mondo così articolato e spaesato, ci vuole più cultura e più cultura storica. È necessario domandarsi fattivamente – come ha fatto Trabucco – come divenire divulgatori efficaci della storia. E, soprattutto, come trasmetterla ai giovani che avvertono sempre di più l’effetto grave della percezione dell’inutilità della storia, similmente a quanto accade alla politica.

Ne tratto anch’io nel mio ultimo volume, La compagnia dei libri (Jaca book 2022, pp. 256 € 25) nel quale Andrea Riccardi, nella prefazione, sostiene che la «storia aiuta a vivere nel presente e ad essere consapevoli di esso, senza voltarsi indietro o avere nostalgia del passato, magari idealizzandolo. Una storia che va studiata e analizzata sotto i suoi profili diversi. Sì, il punto di partenza è nella storia. La storia che scorre è qualcosa di molto diverso da un presente piatto, ridotto a sé, senza profondità… Certo, la storia non è magistra vitae: non insegna come vivere, ma certamente aiuta a leggere il presente e a discernerlo nella sua complessità. È difficile e illusorio vivere da analfabeti della vita e della storia, soprattutto in tempi difficili come i nostri. Un vescovo siciliano, Cataldo Naro, uno storico degli inizi del xx secolo, ha espresso lucidamente questa intuizione: la storia è maestra”non nel senso che ci dà delle precise indicazioni per il nostro presente, ma perché ci rende sapienti per sempre”».

La globalizzazione sembra poter fare a meno della storia, potremmo dire anche della cultura. Non a caso Olivier Roy parla di deculturazione e di «santa ignoranza», come rifiuto della cultura, della storia, della memoria da parte di società e religioni emotive o fondamentaliste. Ma l’ignoranza non è – ricorda Riccardi – soltanto assenza di una cultura: significa, alla fine, subire modelli culturali e antropologici proposti dallo “spirito del tempo”. A Bronisław Geremek, grande storico e figura morale, si deve una delle più belle definizioni della storia: «La storia è un misto di scienza e di poesia». Non c’è vera storia senza l’una o l’altra. E la poesia permette a chi legge di appassionarsi alla storia, con i suoi personaggi, i suoi autori, le sue opere letterarie. Pertanto, la storia e la lettura sono vitali.

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