A cosa serve la letteratura? Così ne parla La Civiltà Cattolica
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A cosa serve la letteratura? Così ne parla La Civiltà Cattolica

Il direttore, padre Antonio Spadaro, che offre una risposta forte e suggestiva a una domanda che si pone da tempo:

Padre Antonio Spadaro direttore de La Civiltà Cattolica
Padre Antonio Spadaro direttore de La Civiltà Cattolica
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18 Novembre 2021 - 15.33


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Il numero de La Civiltà Cattolica in arrivo in libreria sabato presenta un articolo del direttore, padre Antonio Spadaro, che offre una risposta forte e suggestiva a una domanda che si pone da tempo: a cosa serve la letteratura? Arrivati alla fine ci si forma un’idea. E’ esistito un termine molto noto, “letteratura d’evasione” riferito a quel genere che nacque in Francia nell’Ottocento, il romanzo dappendice o feuilleton. Si tratta di romanzi pubblicati a puntate nelle pagine finali, in appendice appunto, o nei supplementi dei quotidiani. Non che i romanzi d’appendice sia stati testi da poco, al contrario. Anche autori del calibro di Balzac o Hugo hanno pubblicato opere in questo modo. Ma l’espressione “letteratura d’evasione” appare decisiva per capire questo testo. La letteratura d’evasione infatti servirebbe a farci evadere, uscire dalla noia, ad esempio, o ad occupare il tempo. E se invece la realtà che noi riconosciamo come tale fosse solo una gabbia che ci isola dal mondo, dal resto della realtà, della nostra realtà? L’evasione diventerebbe allora un’evasione dal carcere che ci estranea dalla vita. Dunque sarebbe un modo per entrare nella più grande realtà, quella che vive fuori dall’angusto spazio nel quale ci rinchiudiamo.  

 

Questa idea suggestiva emerge nel lettore piano piano, ma insistentemente. Già alla prima pagina Spadaro ci dice che Jean Cocteau scrisse a Jacques Maritain: “La letteratura è impossibile, bisogna uscirne, ed è inutile cercare di tirarsene fuori con la letteratura perché solo lamore e la Fede ci consentono di uscire da noi stessi”. Ma per andare dove si chiede giustamente Spadaro. E così prosegue facendoci notare che Pier Vittorio Tondelli, scrittore scomparso nel 1991 a soli 36 anni per Aids, scrisse tra i suoi ultimi appunti: “La letteratura non salva, mai”. Dunque l’arte, in questo contesto specifico la letteratura, sarebbe una scappatoia: e così l’idea dell’evasione  prende ulteriormente forma. Evasione… Davanti alla vanità di ogni cosa , Stéphane Mallarmé non può che mettere in relazione “la tristezza della carne con la vanità della lettura di tutti i libri: La chair est triste, hélas! Et jai lu tous les livres (“La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri”). 

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Ma la nostra idea di “evasione” è proprio diversa e prende ancor più forma quando il testo di Spadaro cita Marcel Proust per farci sapere una cosa decisiva: “Proust notava come i suoi pomeriggi dedicati alla lettura contenessero più avvenimenti drammatici di quanti non ne contenga, spesso, unintera vita. Erano gli avvenimenti che si susseguivano nel libro che stava leggendo. Sorgono quindi altre due domande interessanti: la vita contiene meno vita della letteratura? La letteratura è più vita della vita stessa?” 

 

Se così fosse ci si avvicinerebbe all’idea di un’evasione dalla vita limitata e limitante che possiamo vivere da soli a quella più ampia, più “grande”, nella quale ci consente di entrare, di ritrovarci, l’esperienza letteraria. Il dubbio è d’obbligo, perché l’evasione a mezzo della letteratura sembra proprio, come suggerito appunto dal ragionamento più comune, un’evasione dal tedio, dalla noia. Scegliamo un romanzo per occupare il “tempo vuoto” con le fantastiche gesta di personaggi inesistenti, che ci fanno compagnia in attesa della cena. E’ così? L’ invito di questo saggio a considerare un’altra prospettiva, a leggere diversamente la nostra esperienza di lettori, è importantissimo e fa delineare ancor più chiaramente questa sensazione di un’altra “evasione”:  l’invio che viene rivolto infatti è a considerare “se la letteratura non servisse a sostituire la vita. Se fosse vero invece che alcuni aspetti della vita li possiamo conoscere solo nella lettura? La risposta è sempre in Proust, per il quale la grandezza dellarte vera  è quella “di ritrovare, di riafferrare, di farci conoscere quella realtà lontani dalla quale viviamo, […] quella realtà che rischieremmo di morire senza aver conosciuta e che è, molto semplicemente, la nostra vita” . Dunque Proust ci rafforza nella sensazione di un’evasione che ci fa conoscere la vita in modo non convenzionale. Seguitando a presentarci le affascinanti teorie prustiane, Spadaro ci fa sapere che per l’autore della Recherche molto spesso non sappiamo vedere la nostra vita, come fosse piena di fotografie che non guardiamo perché non sappiamo svilupparle. “ La letteratura invece è come un laboratorio fotografico, nel quale è possibile elaborare le immagini della vita perché svelino i loro contorni e le loro sfumature. Ecco, dunque, a che cosa «serve» fondamentalmente la letteratura: a sviluppare le immagini della vita, a salvare la nostra esistenza dallincomprensibilità”. Questa evasione percepita dall’inizio del saggio ha preso finalmente forma: è l’evasione dalla non comprensione di chi siamo. Ma questa evasione capovolta sembra un’illusione, una fantasia… Leggendo Le memorie di Adriano entro nel suo tempo, non nel mio, come seguendo Kafka verso il suo irraggiungibile Castello. Ma è davvero così? No, per Spadaro, “ è proprio a partire dalla cripta del testo letterario e dai suoi sotterranei che è possibile rimettere in questione sia la nostra percezione comune delle cose sia la nostra personale esistenza in un gioco di immagini, interpretazioni e significati colti con maggiore chiarezza. Ecco allora la via per comprendere la virtù paradossale della lettura”, che spiega con le parole di Pennac: “quella di astrarci dal mondo per trovargli un senso”. E’ solo uscendo che possiamo dare un senso al dentro? Detto altrimenti è quello che in termini radicali sostiene Spadaro citando il critico francese Charles Du Bos, per il quale senza la letteratura la vita sarebbe “una cascata da cui tanti di noi sono sommersi, talmente insensata che noi, incapaci di interpretare, ci limitiamo a subire. Di fronte a tale cascata, la letteratura assolve le funzioni dellidraulica: capta, raccoglie, convoglia e solleva le acque”. 

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L’evasione è ormai chiara negli occhi del lettore, sempre più definita. Ora c’è anche l’idraulico che trasforma una pioggia di eventi incomprensibili in una storia. I fatti non si impongono nel loro letteralismo, che uccide. A questo punto però il testo sembra proprio dire il contrario di quanto sin qui si è affermato: “ La letteratura dice la nostra presenza nel mondo, la interpreta e la «digerisce», cogliendo ciò che va oltre la superficie del vissuto per discernere in essa significati e tensioni fondamentali. Da ciò comprendiamo che lesperienza della poesia non è mai di evasione”. Ma questa a cui ci riferisce è l’altra evasione, quella dalla noia, dal tedio, dal “tempo vuoto”. Non è l’evasione da una cella nella quale si vuole racchiudere la vita, la stessa nostra vita. Ed eccoci infatti alla parola, o al romanzo, che modifica la nostra vita. Chi non è stato influenzato da un personaggio di un romanzo, o da un verso poetico? Qui la parola, poetica e letteraria, diviene legna che ci infiamma, come scrisse Carver, o che ha “entro di fuoco” per Alda Merini. “ Ovviamente qui fiamme e fuoco hanno potenza di simbolo, per dire ciò che brucia la vita umana senza consumarla: Il mio desiderio è che in cima / al cuore scocchi la corda della parola; / ma mi trasformo in arco, sono proprio larco / su cui poggia la freccia ancora accesa. Sono versi di un grande poeta giapponese contemporaneo, Kikuo Takano, così come è possibile tradurli nella nostra lingua italiana. La parola, freccia accesa, è anche la tensione della corda che la lancia, in realtà. La parola della letteratura, dellespressione creativa di ogni essere umano è una corda tesa, in tensione, in attesa”. 

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Se si considera che uno dei libri-intervista di papa Francesco si intitola “Dio è un poeta” si capisce che quella di padre Antonio Spadaro è pura critica letteraria, nella quale si avverte però la presenza di pura teologia. 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

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