Nicola Ravera Rafele: “Vi porto nella mia Parigi interiore e..."
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Nicola Ravera Rafele: “Vi porto nella mia Parigi interiore e..."

È in libreria A Parigi, da Hemingway a Cortázar di Nicola Ravera Rafele, edito da Giulio Perrone editore. A cavallo tra il libro di viaggio, la citazione e l’omaggio letterario

Nicola Ravera Rafele: “Vi porto nella mia Parigi interiore e..."
Nicola Ravera Rafele
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3 Novembre 2021 - 10.51


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È in libreria A Parigi, da Hemingway a Cortázar di Nicola Ravera Rafele, edito da Giulio Perrone editore. A cavallo tra il libro di viaggio, la citazione e l’omaggio letterario, l’opera è una personalissima dichiarazione d’amore alla capitale francese, celebrata attraverso delle passeggiate immaginarie nei luoghi descritti dai grandi autori, cineasti e intellettuali stranieri che l’hanno raccontata negli anni. Abbiamo incontrato l’autore.

Oltre ad essere la città più visitata al mondo, Parigi è anche forse la città maggiormente raccontata nella letteratura e nel cinema, in epoche e contesti molti diversi. Come ha scelto quale Parigi raccontare?

Parigi è, forse con New York, la città che più di tutte dà la sensazione di essere un ‘luogo comune’. Dico ‘luogo comune’ nella doppia accezione: quella di luogo di tutti, anche chi non ci è mai stato ha una sua idea di Parigi, e anche nella accezione di somma di banalità. Per parlare di Parigi bisogna prima di tutto andare oltre lo stereotipo che generalmente viene proiettato sulla città: la città dell’amore, la città elegante della moda, la città cartolinesca sempre fotografata in bianco e nero. Certo, Parigi è anche queste cose, che si possono trovare in qualsiasi guida turistica, ma la letteratura aiuta andare oltre questo primo livello di conoscenza, la grande letteratura illumina gli angoli nascosti, aggira l’ovvio, affina lo sguardo. Per questo ho deciso di farmi accompagnare in questo viaggio da grandi scrittori che hanno raccontato e amato la città.    

Grazie al libro ripercorriamo i luoghi immortalati nelle opere di alcuni di più grandi autori e intellettuali del Novecento, tra cui Cortázar, Hemingway, Beckett, Kundera, nati altrove ma che nutrono nei confronti della capitale francese un grande senso di apparenza fino a “smettere di sentirsi stranieri”. Come spiegare questo sentimento? È qualcosa che può accadere solo a Parigi?

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Parigi è stata, lungo tutto il Novecento, anche un luogo dell’anima. Cortázar, Hemingway, Vargas Llosa, Villa-Matas dicono tutti la stessa cosa: di avere sentito, fin da piccoli, che senza Parigi non avrebbero mai potuto essere degli scrittori. Penso che in effetti da questo punto di vista Parigi sia diversa da altri posti nel mondo: ha la capacità di generare un’appartenenza elettiva fortissima, legata all’arte. 

Com’è nata la scelta di concentrarsi sugli autori nati altrove o con origini non francesi?

Ho passato circa trent’anni della mia vita andando a Parigi in continuazione, fin da quando ero piccolo. Con il tempo, ho iniziato a soffrire di una specie di sdoppiamento: non ero più un turista, non sarei mai stato un parigino. Una sensazione simile a quella di un amore intenso ma mai completamente corrisposto. Per questo mi è venuta voglia di andare a cercare nelle pagine di questi grandi scrittori che avevano vissuto a Parigi senza esserci nati.  Volevo vedere se questo doppia condizione, questo strabismo emotivo, c’era anche nelle loro pagine. In parte l’ho trovato…

Nelle sue pagine si capisce si tratta di una città alla quale anche lei è intimamente legato, nel libro dice che ognuno ha “una Parigi interiore, sconosciuta e aspirazionale”, qual è la sua Parigi?

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Per me Parigi è stata prima di tutto un rifugio, un posto dove scappare, dove sentirmi protetto. Ma, come dicevo prima, ciascuno ha una sua Parigi, fosse pure come semplice luogo dell’anima. E’ il ‘We’ll always have Paris’ di Borgart e Ingrid Bergman in ‘Casablanca’. Avremo sempre Parigi, che in quel caso ha un significato rispetto alla loro storia, ma anche un significato più ampio, assoluto, che suona come: avremo sempre la possibilità dell’amore, avremo sempre i ricordi della dolcezza del vivere. Perché, come diceva Hemingway, “Se sei stato abbastanza fortunato da aver vissuto a Parigi quando eri un giovane, allora, ovunque tu vada per il resto della tua vita, lei rimane con te, Parigi è una festa”

A Parigi è un inno alla flânerie, lei stesso spiega come questa parola non esista in altre lingue ma sia la chiave per capire la città e il suo libro. Cosa significa essere un flâneur?

Il flâneur, come spiega benissimo Walter Benjamin, è uno che gira per la città riuscendo a far convivere ozio e curiosità. Non è uno che perde tempo, quanto uno che ha una sua idea di tempo della città, lenta, solo apparentemente distratta, ma in realtà attentissima a dettagli magari insignificanti, che tutti insieme fanno l’esperienza del viaggio. È una condizione dello spirito perfetta per vagare per una città come Parigi.
Cortázar era uno straordinario flâneur, quando scrive: “Camminare per Parigi è camminare verso di me” secondo me riassume perfettamente questa condizione di ricerca e rispecchiamento. 

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Nel libro Parigi acquista anche una dimensione introspettiva, simbolica, come se si sdoppiasse dalla città fisica, acquistando una dimensione onirica e ci ha detto di aver scritto quest’opera in piena pandemia, quando le era impossibile essere fisicamente nelle strade che raccontava. Com’è stata questa esperienza?

È stato folle e divertente. Ho ripercorso decine di strade usando Google Maps, metro per metro, cercando conferma di luoghi che ricordavo, magari di un ristorante che mi pareva essere in un posto o in un altro. Mi sono trovato, in alcuni momenti, completamente preso da queste passeggiate digitali, al punto di deviare dal percorso e perdermi, una specie di flânerie da fermo. Certo, avrei preferito poter andare lì, e ora che è di nuovo possibile viaggiare non vedo l’ora di tornaci…

Il suo è libro molto colto, ma è anche accessibile a chi non conosce così bene Parigi o a chi non ha letto tutte le opere citate. Possiamo dire si tratta di un doppio invito alla lettura e al viaggio?

Spero che sia soprattutto un invito al viaggio. Il libro si può leggere anche solo per godere delle tante bellissime pagine di grandi scrittori che sono citate, ma chi invece volesse leggerlo andando a Parigi troverà anche indirizzi di cose da vedere, bar e ristoranti dove mangiare, musei e cinema. Insomma, è un po’ un saggio letterario, un po’ una guida turistica alternativa, o complementare, alle guide classiche. 

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