David Liss: "Perché Trump è stato eletto? C'erano le condizioni, e forse ci sono ancora"
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David Liss: "Perché Trump è stato eletto? C'erano le condizioni, e forse ci sono ancora"

In attesa della pubblicazione del suo nuovo romanzo, The Peculiarities, David Liss si è concesso con generosità al fuoco di fila delle nostre domande sull’attuale situazione dell’America post-Trump.

David Liss
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23 Aprile 2021 - 18.00


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di Rock Reynolds 

 

Si scrive una storia per raccontare il mondo e, allo stesso tempo, per mostrare qualcosa di se stessi. Magari in modo aperto, attraverso prose o liriche autobiografiche, memoir, romanzi imperniati su personaggi in cui ci si rispecchia. Oppure in maniera più sfumata, con l’autore che lascia emergere la sua personalità tra le righe, travestendosi da spettatore narrante.

David Liss, nativo del New Jersey ma texano d’adozione, appartiene a questa seconda categoria, al punto da affidare a romanzi storici come L’apprendista (Il Saggiatore) e Il mercante di caffè (Tropea Editore) le sue principali riflessioni sul mondo. Più attinente alla nuova realtà in cui si è calato e alle difficoltà dell’America degli ultimi anni è L’assassino etico (Tropea Editore), uno dei più bei noir di ambientazione sudista del nuovo millennio. In attesa della pubblicazione del suo nuovo romanzo, The Peculiarities, prevista in USA in settembre, Liss si è concesso con generosità al fuoco di fila delle nostre domande sull’attuale situazione dell’America post-Trump.

Com’è stato trasferirsi a vivere in Texas?

Vivo a San Antonio da 20 anni. Mia moglie insegna all’università e il mio lavoro posso svolgerlo ovunque. Per quanto ci siano numerosi motivi per canzonare i texani e il Texas, San Antonio è una città progressista e, da quando ci abito, la sua cultura si è fatta via via più diversificata, interessante e ricca. Sono vegetariano e, quando mi ci sono trasferito, faticavo a trovare un ristorante adatto alle mie esigenze. Oggi, quanto meno fino a prima dello scoppio della pandemia, possiamo scegliere fra numerose opzioni e mi pare un grande passo avanti. Aggiungo che, per quanto il Texas sia uno stato fortemente conservatore, la maggioranza non è smaccata e di persone ragionevoli non ne mancano, pur non disponendo di vero potere politico. È molto frustrante vivere in un posto in cui i fili del potere sono manovrati dagli elementi peggiori, più cinici e avidi. Ma il tempo sta per finire anche per loro e speriamo che la prossima tornata elettorale sia quella giusta.

Come procede la gestione della pandemia, dopo i disastri dell’amministrazione Trump?

Ci è voluto davvero poco per scorgere i benefici della gestione a opera di Biden. La disponibilità dei vaccini è stata ampia nel giro di poche settimane e io mi sono potuto vaccinare all’inizio di marzo. Molte città del paese dispongono di un’eccedenza di vaccini rispetto alla richiesta, grazie al diffuso scetticismo degli americani, ma è certo più facile gestire gli aspetti logistici che non gli atteggiamenti della gente. Inoltre, ora è palese che c’è un governo federale disposto a fare il possibile per proteggere la gente e questo rappresenta un fondamentale miglioramento della qualità della vita. Quando si è diffusa la notizia dell’arrivo di questo nuovo virus, ho capito che sarebbe stato qualcosa di diverso rispetto a precedenti allarmi. Per la mia famiglia seguire le regole è stato facile perché mia moglie si è presa un anno sabbatico e io lavoro da casa. È assurdo che il fardello più pesante sia toccato agli operai, ma il sistema ha costretto molti americani a scegliere tra denaro e sicurezza pubblica.

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Secondo lei, com’è stato possibile che l’America abbia eletto Trump?

Ci sono varie ragioni. C’erano tutte le condizioni e, forse, ci saranno di nuovo fra quattro anni per l’elezione di un altro demagogo da parte della destra. L’America è estremamente polarizzata e soprattutto la destra premia i candidati più estremi. Si direbbe che il Partito Repubblicano faccia a gara per scegliere i candidati più divisivi, offensivi e intolleranti. È così che ottiene sostegno presso la base e spesso per vincere basta guadagnarsi le simpatie di una base eccitata. Abbiamo consentito al sistema di garantire ai repubblicani dei vantaggi strutturali e, dunque, i democratici devono ottenere un numero di voti decisamente superiore per aggiudicarsi le elezioni presidenziali e la maggioranza parlamentare. Molti progressisti si sono mostrati frustrati dall’assenza di soluzioni a problemi reali e immediati, ma non sono sufficientemente attenti per capire che la colpa non va divisa equamente tra le due parti: in tal modo, cadere nelle mani della propaganda della destra è automatico. Sembra che, purtroppo, i fallimenti del governo abbiano un impatto solo sull’elettorato di destra e, dunque, ciò spinge un’ampia minoranza di votanti ad appoggiare figure ripugnanti come Trump. Perché il 40% degli elettori adora Trump? Questa è una domanda più difficile. Capisco che lui consenta ai razzisti di comportarsi da razzisti, una possibilità che i conservatori non avevano e desideravano da tempo, ma a me Trump pare del tutto privo di carisma. Non sa parlare e nella storia essere oratori efficaci è sempre stato un requisito essenziale per i demagoghi. Per giunta, è uno sbruffone e un piagnone, caratteristiche che di norma non piacciono al tipico maschio americano. Vent’anni fa, potevo guardare George W. Bush e pensare, “Lo detesto, ma capisco perché ci sia una fascia della popolazione che si identifica con lui”. Nel caso di Trump, proprio non lo capisco: è noioso, scarsamente interessante, un oratore terribile e un pusillanime. 

Pensa che l’assalto al Campidoglio non ci sarebbe stato senza l’incoraggiamento di Trump?

In America esiste un’ampia e attiva comunità online di elementi della destra che credono nella teoria del complotto e che sarebbero stati del tutto capaci di pianificare una sommossa. Ma, se Trump non li avesse incoraggiati, difficilmente sarebbe stata della stessa portata. I mass media di destra hanno sostenuto e amplificato le lagnanze dei complottisti bianchi nazionalisti e, malgrado Trump sia stato felice di farsene portavoce, il fenomeno è ben più ampio e pericoloso.

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A me sembra che la scarsa consapevolezza geopolitica del posizionamento dell’America nel mondo sia uno dei più seri problemi degli USA. Da scrittore di romanzi storici di ambientazione europea, che ne pensa?

Grazie per averlo sottolineato. Mi permetta di essere più specifico. Non credo si tratti solo di un problema di scarsa conoscenza, ma pure del fatto che il nostro sistema rende tale conoscenza irrilevante. La politica estera dell’America è ed è sempre stata raffazzonata e inconsistente, ma, quanto meno, durante la Guerra Fredda tali inconsistenze avevano il vantaggio ideologico di perseguire l’obbiettivo unico di controbilanciare l’influenza sovietica. Ora non abbiamo un obbiettivo unificante. Perseguiamo interessi economici qui e umanitari lì, ma difficilmente lo facciamo bene. Per lo più, puntiamo a soddisfare determinati interessi finanziari e politici e perpetuiamo abitudini che nessuno è in grado di ripensare. Perché, per esempio, privilegiamo un regime antiamericano che sostiene il terrorismo nel Medio Oriente invece che il suo rivale regionale antiamericano che sostiene il terrorismo? Perché è quello che andiamo facendo da 50 anni. Lo so, è sciocco, ma è così che continua a funzionare. In più, i politici non sono minimamente motivati a riconsiderare la politica estera. Tornando all’esempio appena fatto, si potrebbero prendere le distanze dall’Arabia Saudita e tentare di forgiare legami più stretti con l’Iran, ma chiunque lo proponesse rischierebbe pericolosi contraccolpi scatenati dall’ideologia e da certi interessi.

I disordini di Minneapolis e altri episodi di violenza della polizia ai danni di minoranze etniche stanno facendo il giro del mondo. Ci sarà mai fine al razzismo negli Stati Uniti?

Da un lato, sono pesantemente cinico. Non vedo come si possa mettere fine a questo razzismo endemico e sistemico senza autentici cambiamenti politici, ma non ne scorgo la possibilità in un paese in cui una minoranza politica con la quale non si può dialogare ha il potere di soffocare la maggioranza. Il razzismo è funzionale alle aspirazioni politiche del Partito Repubblicano, determinato a fare di tutto pur di mantenere il suo elettorato in calo. Direi che, in questo momento, ci troviamo in una situazione di stallo. D’altro canto, mia figlia ha 20 anni e lei e i suoi amici sono probabilmente le persone più sinceramente antirazziste e inclusive che io abbia mai incontrato. Non sto dicendo che tutti i giovani sono così, ma penso che il razzismo sia in declino tra i giovani. Ma, per quanto le giovani generazioni mi ispirino ottimismo, passeranno ancora dei decenni prima che si registrino cambiamenti significativi.

L’altra grande questione attuale è la facilità con cui in America ci si può procurare un’arma da fuoco. Qual è la sua posizione in merito al secondo emendamento della Costituzione, che ne rende il possesso sacrosanto?

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È un tema che mi fa ammattire, forse anche grazie agli studi che ho fatto sulla letteratura e sulla cultura del XVIII secolo. L’idea che la Costituzione garantisca al cittadino il diritto incondizionato al possesso di un’arma da fuoco in funzione del fatto che tale arma garantirebbe libertà è assurdo. È implicito nel secondo emendamento l’idea del XVIII secolo secondo cui un esercito stabile sia incompatibile con la libertà individuale. Il secondo emendamento intendeva dire che, dato che non ci sarebbe mai stato un esercito di professionisti, ci sarebbe stato bisogno di milizie di cittadini. È un’idea che è rimasta. Ecco l’ennesima questione che la nostra politica polarizzata ha distorto. Fino a non molto tempo fa, molti americani erano favorevoli a un certo controllo della diffusione delle armi da fuoco e alla limitazione dei fucili d’assalto. Ora i conservatori ritengono tali misure una resa. Al pari di molto europei, questa fissazione per le armi proprio non la capisco. Non ho bisogno di possederne una, ma, anche se ne volessi una per una ragione seria (la protezione della casa, per esempio), non riesco proprio a immaginare perché mai qualcuno voglia portarsi un fucile d’assalto in una caffetteria. Inoltre, la legge che consente di andarsene in giro mostrando a tutti la propria arma mette a rischio le interazioni sociali. Come fa un tutore della legge a gestire una situazione di conflitto quando il suo interlocutore è più armato di lui? È interessante notare che quest’ossessione quasi religiosa per la santità delle armi da fuoco è relativamente nuova. Al pari di molti trend negativi americani, nasce con la secca virata a destra del paese dopo l’elezione di Reagan e, da allora, non ha mai smesso di accelerare. Le condizioni che rendono gli americani sempre più stupidi ora sono talmente radicate nella nostra cultura che non penso vi sia un modo per ribaltare tale trend. 

La politica e gli eventi correnti impattano sul suo modo di scrivere e sulla scelta della storia da scrivere?

Tantissimo. Ciò che accade nel mondo e nel mio paese agisce sui miei pensieri e certi pensieri io non posso sicuramente metterli in quarantena. Non scrivo di politica contemporanea, ma mi risulterebbe impossibile non plasmare personaggi, storie e conflitti in base al mondo in cui vivo. Da autore di romanzi storici e, ultimamente, di fantasy storico, mi capita spesso di dover spiegare e creare interi sistemi sociali. È inevitabile che i problemi e le difficoltà che vedo intorno a me finiscano nelle mie storie, intenzionalmente o meno.

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