Infanzia e storia nel quartiere operaio: reportage sull'abitare
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Infanzia e storia nel quartiere operaio: reportage sull'abitare

In esergo all’Abitare, si intitola questo prezioso lavoro di Isabella Bordoni. Un reportage accompagnato dalle foto straordinarie di Marco Caselli Nirmal.

Infanzia e storia nel quartiere operaio: reportage sull'abitare
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2 Marzo 2014 - 15.42


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di Isabella Bordoni

Urta,

Urta per sempre.

Nell’insidia della soglia.

Contro la porta, sigillata,

Contro la frase, vuota.

Nel ferro, ridestando

Solo queste parole, il ferro.

Nel linguaggio, nero.

In colui che è qui

Immobile, vegliando

Sul tavolo carico

Di bagliori, di segni. E che tre volte

Viene chiamato, ma non si alza.

……………………………………

Nell’adunarsi, cui è mancato

Il celebrabile.

Nel grano deformato,

Nel vino prosciugato.

Nella mano che trattiene

Una mano assente.

Nella inutilità

Del rammemorare.

Yves Bonnefoy, Dans le Leurre du seuil, tr. it. di Diana Grange Fiori, Nell’insidia della soglia, Giulio Einaudi Editore,1975

«Perché Nell’insidia della soglia? Perché parecchi anni della mia vita furono occupati dal compito di ridare esistenza a una grande casa in Provenza – un monastero con un’antica chiesa, stalle, granai, ma soprattutto rovine – che in quel suo luogo straordinario sarebbe potuta essere – immaginavo – la soglia del paese in cui vivere, il portico della «vera vita». Ma in seguito le difficoltà andarono crescendo, sia quelle interiori sia quelle materiali, e finirono per rendere irrealizzabile l’impresa. Ne ricavai, tuttavia, una lezione. Se le soglie sono illusioni, “insidie”, anche le insidie possono diventare occasioni per una riflessione più lucida. E quindi, a loro volta, possono diventare soglie attraverso le quali accedere alla verità nel proprio rapporto con se stessi: là dove l’essere nasce dal non avere. Il libro tenta di fare questa esperienza che è anche una mise en question della scrittura, spazio di tutte le insidie; tende verso quelle parole che rinunciano a imporre i loro sogni e che possono anzi, nella dissipazione di questi sogni, consentirci una luce nuova. […]»

Questo scrive Yves Bonnefoy a proposito del suo “Nell’insidia della soglia” e da qui, da una poesia che è abitazione e parola, proviamo ora a partire.



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Nel novembre 2013 si sono avviati a Milano i venerdì pubblici di Immaginariesplorazioni_Solari, un laboratorio di ricerca audiovisiva con approccio antropologico che vuole sperimentare un percorso interdisciplinare sulle forme possibili dell’abitare urbano. Motore del progetto (che si inserisce nell’ampia cornice di DENCITY) è Dynamoscopio, associazione milanese che si impegna a cucire le relazioni tra gli sguardi e le pratiche dell’arte, dell’antropologia, delle politiche urbane e dell’abitare. Luogo degli incontri è l’ex-panetteria di via Solari 40, uno spazio composto da tre ampie stanze oggi destinate ad attività culturali e precedentemente punto di produzione e vendita del pane, che si trova all’interno del quartiere operaio Umanitaria, il primo quartiere di case popolari costruito nel 1906 a Milano. Questi gli spazi – fisici e mentali – che ospitano il progetto Immaginariesplorazioni_Solari, un articolato percorso formativo che per la seconda volta dal 2011 Dynamoscopio porta avanti con un gruppo di circa 30 giovani e che avrà come esito finale – nel novembre 2014 – la realizzazione collettiva di un film documentario. Una prima analoga esperienza aveva già portato nel 2012 alla realizzazione del film entroterra Giambellino. L’utilizzo di questi spazi è frutto di una sinergia con il Comitato inquilini “1° quartiere operaio Umanitaria” che appunto ospita un progetto che ha nei temi e nelle pratiche del fare casa e dell’abitare collettivo un solido benché critico punto di partenza. Una prima fase teorica quindi, con successive fasi operative che sposteranno il centro dal quartiere alla città, e dalla ricerca all’azione. Sono intervenuti nella parte formativa del laboratorio, esperti dell’amministrazione pubblica di Milano, docenti, artisti e registi, ne citiamo alcuni: Piergiorgio Monaci, Angelo Foglio, Gabriele Rabaiotti, Francesca Cognetti, Ivan Bargna, Ferdinando Fava, Patrizio Esposito, Paolo Barberi, Eyal Sivan; il tutto ha in Dynamoscopio il cuore teorico di una ricerca che accoglie il concetto critico e polisemico di riflessività.

Concetto che sia nel suo portato positivo – di società che pensano sé stesse e intervengono su sé stesse, che si pongono la questione della legittimazione, nell’ambito della produzione della conoscenza, del discorso e delle rappresentazioni, che operano il tentativo di superare polarizzazioni o dicotomie – sia nei suoi limiti – la riflessività non risolve in sé la complessità che affronta – ci insegna che un possibile mutamento di paradigma lo si può raggiungere lavorando tenacemente sui margini, forzando i limiti di un paradigma dominante.

« […] All’abitare, così sembra, perveniamo solo attraverso il costruire. Quest’ultimo, il costruire, ha quello, cioè l’abitare, come suo fine. Tuttavia non tutte le costruzioni sono delle abitazioni […]. Eppure, anche questi tipi di costruzioni rientrano nella sfera del nostro abitare. Questa sfera oltrepassa l’ambito di queste costruzioni, e d’altro lato non è limitata alle abitazioni […]. Queste costruzioni albergano l’uomo. Egli le abita, e tuttavia non abita in esse, se per abitare in un posto si intende solo l’avervi il proprio alloggio. »

Martin Heidegger, da «Costruire abitare pensare» in Vorträge und Aufsätze, Verlag Günther Neske, Pfullingen 1957, tr. it. di G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1991.



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Va in questa direzione l’incontro/installazione Abitare l’infanzia_Nell’insidia della soglia realizzato il 13 dicembre 2013. In quell’occasione sono state incluse e attraversate le forme fino a lì consuete dei venerdì pubblici che hanno visto esprimersi il formato “conversazione e dibattito” per mettere in circolo forme altre che qui chiamiamo “performative”. L’ex-panetteria di via Solari 40 si è fatta contenitore e contenuto di più formati e più attitudini ed esattamente questo abbandono di una sola specificità linguistica del discorso, ha reso possibile compiere – insieme agli inquilini del quartiere e con il pubblico milanese convenuto in loco – un passaggio che ha portato il discorso nel cuore di un’esperienza. Abitare l’infanzia_Nell’insidia della soglia ha composto quindi alcuni ambienti acustici e visivi che hanno da una parte riportato le tracce di archivi della contemporaneità: materiali tratti da assemblee di quartiere promosse dal comitato degli abitanti del Giambellino (periferia ad alta criticità abitativa), dibattiti con l’amministrazione comunale ed esponenti dell’Aler, oggetti d’uso domestico portati degli inquilini del quartiere Umanitaria, repertorio iconografico del quartiere; e dall’altra un’ampia texture poetica e sonora che ha risemantizzato quelle ed altre tracce d’archivio.



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Il 13 dicembre 2013 alle 19.00 si convocava quindi sia il pubblico esterno che numeroso seguiva da novembre i venerdì pubblici di Immaginariesplorazioni_Solari, sia gli inquilini dell’Umanitaria che dalla mattina del giorno prima avevano portato ciascuno da casa propria, una sedia e una coperta, per accogliere il pubblico che il giorno dopo avrebbe preso parte con loro a questo accadimento, la “possibilità” di dare luogo e tempo ad un’esperienza per certi versi radicale. Esperienza che ha cercato nell’arte e nella poesia una lingua, “affettiva” e “riflessiva” insieme, capace di essere emozione e discorso, dispositivo poetico e politico. La coperta e la sedia portati da casa dagli inquilini, sono poi stati riportati a casa, messi “a disposizione” temporaneamente come prestito affettivo e come reale protezione dal freddo, dal momento che gli spazi dell’ex-panetteria non erano dotati di riscaldamento. Questi oggetti sono stati delle leve ed è attraverso il loro portato affettivo e funzionale che è stato possibile comporre uno spazio pubblico a partire dalla condivisioni del privato, ovvero la cessione di spazi di intimità in maniera temporanea ma prolifica di conseguenze.

Qui la voce e la scrittura poetica – così esposte e vulnerabili – hanno condotto un’infanzia nella rete dell’infanzia di tutti e di ciascuno, per essere infranta, corrosa, predata, restituita. Voce e poesia, infanzia e storia, sono state messe in comune nella loro funzione civile. Sono state strumento contemporaneamente del passato e del futuro, del lontano e del vicino per abitare qui ed ora, ma anche ovunque e sempre altrove, il salto, il lascito, l’abbandono, l’appartarsi e l’appartenenza.

Abitare l’infanzia_Nell’insidia della soglia chiedeva – tra le altre disposizioni dello spazio e del tempo – un’ora di ascolto al buio che poteva essere trascorsa stando seduti sotto ad una coperta.
“Grazie per essere qui. Faremo insieme un’esperienza dell’ascolto” – è stato detto dopo un’ora dall’inizio dell’incontro pubblico – “Accomodatevi”.

Faceva piuttosto freddo, l’ex-panetteria di via Solari 40 era senza riscaldamento. Non una persona è andata via. Protagonismo di nessuno perché di tutti, di tutto e di ciascuna cosa: degli individui, degli oggetti, dello spazio, delle relazioni presenti, passate, future.



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Un’esperienza per certi versi radicale, ho detto poc’anzi, ed è vero. Non si è trattato di fare “teatro” ma certamente questa esperienza ha messo in atto alcune pratiche del teatro: la costruzione di uno spazio, la regia, la drammaturgia come tessitura e trama. Tuttavia, non di uno spettacolo si è trattato ma di un processo temporaneo e insieme duraturo, che ha chiesto e ancora chiede all’arte di spendersi linguisticamente per un cambiamento di prospettiva, per quel piccolo ma significativo mutamento di paradigma a partire dai margini.

Allora, proviamo a restare sui margini ed andiamo in una città che non è Milano ma Berlino, per guardare a “qui” da “altrove”.

C’è un’ampia area che verte sulla stazione della metro U-Spittelmarkt a Berlino, che se percorsa a piedi congiunge e abbraccia con lo sguardo l’arteria stradale di Leipziger Straße con Spree Kanal, poi scende su Alte Jakobstraße, incontra Oranienstraße, lambisce Waldeckpark, unisce Mitte a Kreuzberg. Qui si situa uno dei grandi cantieri edilizi attualmente in corso, che ospiterà appartamenti di varie metrature e piccoli alloggi per studenti.

Giungo in questa zona che porta poi sulla Köpenicker Straße, attraversa il fiume Sprea ed entra nel quartiere Friedrichshain, cercandone un’altra, così come mi accade spesso di fare e come so, oramai, essere questo il modo in cui io giungo ai luoghi. Per un’erranza che porta la cognizione di un errore solo apparente: in realtà per una georeferenziazione spontanea che il corpo stabilisce con il luogo che lo spazia, una slabbratura funzionale, un’uscita dall’efficienza dei percorsi per – invece – darsi tempo/darsi luogo, così da comprendere ogni volta che perdersi è sempre un trovare un sì e un sé, proprio lì, nel posto giusto: esser-ci.



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Più a nord rispetto a quest’area ma sempre a est nella mappa della città, precisamente nella fascia che storicamente l’ha voluta da metà Ottocento a vocazione industriale e operaia, l’area compresa tra lo Sprea e l’Ostbahnhof era già stata oggetto nel 2008 di una imponente reinvenzione urbanistica con la costruzione di un nuovo quartiere direzionale e residenziale che – come sempre accade – ha riconfigurato quel paesaggio urbano anche a livello sociale e culturale.

Friedrichshain è un quartiere che si trova a nord-est di Mitte, al confine con Prenzlauer Berg. Qui si trova il Volkspark Friedrichshain il più antico parco pubblico di Berlino, la cui realizzazione risale al 1846-48, il terzo in ordine di grandezza dopo Tempelhofer Park e Tiergarten. E qui a partire dal 1870 e fino al 1914 l’area dell’attuale quartiere fu interessata alla costruzione di case d’affitto per la classe operaia, portò il quartiere a raggiungere indici altissimi di densità edilizia ed abitativa.

Tra centri e periferie che si espandono e contraggono, alcuni dati del 2008 prevedevano entro il 2050 una riduzione della popolazione nella regione del Brandeburgo dagli (allora) attuali 2,58 milioni a 1,81 milioni di abitanti. I flussi abitativi continuano a far prevedere anche ora una forte crescita della popolazione nelle zone di concentramento intorno a Berlino e una forte decrescita nelle campagne lontane dall’epicentro. Ma anche questo flusso avrà un suo apice e poi un suo arresto, in un duplice movimento di gentrificazione da una parte e di città in contrazione dall’altra.

Il fenomeno lo conosciamo bene anche in Italia e in città come Milano meglio che altrove. Con il termine ambiguo di riqualificazione urbana, grandi fette di territorio sono oggetto di investimento economico e immobiliare, così che diventano appetibili e anzi progettate su misura per spostamenti di capitali e di abitanti, di persone e gruppi appartenenti a fasce sociali più benestanti rispetto ai residenti, professionisti, studenti (ne esistono anche di questi) abbienti, turisti. Così che gli abitanti precedenti, coloro che in quell’area hanno vissuto prima che vi arrivassero grandi flussi di denaro, vengono progressivamente spostati su periferie sempre più ai margini. Speculazioni, vale la pena ricordare, non estranee al riciclo del denaro e non estranee ad ambienti legati alla criminalità organizzata.

“Strumenti investigativi e prospettive normative nel contrasto al crimine organizzato – la confisca oggi e domani” è il titolo del convegno internazionale promosso dall’Associazione “Mafia? Nein, Danke! Come dire no al racket” nelle giornate di giovedì 6 e venerdì 7 febbraio 2014. Raggiungo la Meeting room Atlantic dell’Hotel Pestana, in Stülerstraße 6, con Irene, più esperta di me nel muoversi oggi in una città che ripercorro perlopiù a piedi vent’anni dopo averla a lungo abitata, per ritrovarla in tanto uguale e in tanto diversa da allora.

È qui che si tiene la due giorni che mette al centro degli incontri un tema spinoso come quello della confisca dei beni alla mafia e il loro utilizzo a fini sociali; tema affrontato con invitati tedeschi, spagnoli, italiani e che vede tra gli altri la partecipazione di Nando dalla Chiesa. L’Associazione con sede a Berlino, è stata fondata il 21 agosto 2007 da Laura Garavini e da alcuni ristoratori subito dopo la strage di Duisburg del 15 agosto 2007, evento che ebbe una forte eco in Italia, scosse la Germania e orientò una moderata consapevolezza in un paese che si riteneva fino ad allora immune dai clan. Le aziende aderenti al movimento antimafia – leggo – si impegnano a non assumere persone con precedenti mafiosi e nel contempo a rifiutare, denunciare e combattere qualunque tentativo d’estorsione.

Ristorazione ed edilizia i due mondi che qui si incontrano, anelli di liaisons dangereuses ben complesse che passano in Italia attraverso il settore agro-alimentare, il movimento terra e lo smaltimento dei rifiuti.



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Dal 2011 con Dynamoscopio lavoriamo proprio sui cambiamenti e le metamorfosi urbane che mettendo al centro dello sviluppo urbanistico il capitale finanziario mondiale, sradicano e trapiantano sistemi valoriali e identitari locali; pratiche che ci chiedono di riflettere ancora su quel paradigma che già con Foucault abbiamo nominato biopolitica e che nell’ottica allargata delle pratiche “governamentali” attraverso cui si costituiscono le forme di legittimità politica, ci chiedono ancora d’interrogarci su quali siano – o come possano essere rivelate o inventate – le “controcondotte” capaci di ribaltare le “liturgie economiche” della modernità.

Il passo non è breve ma è affascinante (e sempre istruttivo) comporre la parabola del pensiero benjaminiano che già vedeva nei Passages di Parigi capitale del XIX secolo, un monumento teologico, la religione della merce. Così come affascinante e sempre istruttivo è rinnovare con Benjamin e Foucault la riflessione mai sopita intorno al «governo dei viventi».

Neppure è breve e tuttavia è necessario fare il passo che lega queste riflessioni ad un’etica d’insieme, risalire un pensiero che si interroga e indaga a tutto tondo sui processi di sviluppo urbano. Tendere l’arco – diremmo – tra biopolitica–governamentalità–gentrificazione– infiltrazioni mafiose.

A fianco di una sempre più serrata urgenza di approfondimento teorico, esistono poi delle pratiche di resistenza e di resilienza che sono insieme avanguardie e retroguardie, ed è infatti “alle retroguardie” che il film entroterra Giambellino (citato in precedenza) è dedicato, intendendo quel lavoro dei margini e sui margini su cui si innestano forme di resistenza etico-politica e veri e propri atti di creazione. Creazione di concetti, di forme, atti di svelamento e rivelazione, invenzione e di messa al mondo.

Perché la scommessa di un certo pensiero contemporaneo, di alcune riflessioni e di alcune pratiche artistiche, di alcune esperienze durature di impegno civile sui territori locali, benché spesso scivolose ci indicano alcune strade da percorrere. Abbiamo sentito, nel tempo, la necessità di un vocabolario che annoverava tra le proprie, parole come resistenza, comunità, soggettività, resilienza, perché siamo certi che la scommessa del presente abita anche il linguaggio in un momento in cui le parole si sviliscono, saccheggiate e corrose dal design della comunicazione. Diciamole, altre parole: “economia”, “legge”, “debito”, ne facciamo il terreno critico di un confronto multidisciplinare e non specialistico, di conoscenze e desideri messi in rete, aperto e bisognoso di risposte strategiche e concrete. Questo lo sforzo e la scommessa di voli audaci di queste nostre Immaginariesplorazioni.



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Grazie a tutto il gruppo di lavoro: con Dynamoscopio (Erika Lazzarino, Luca Francesco Garibaldo, Jacopo Lareno Faccini), Alessandra Marsiglia, Alessandro Bruzzone, Alice Bescapè, Alice Ranzini, Céline Volonterio, Davide Pedemonte, Diana Di Tuccio, Elena Bassi, Elena Maranghi, Elisabetta Lojra, Federica Guerra, Francesca Santulli, Francesca Stamuli, Gianpaolo Contestabile, Irene Borchi, Luca Rigon, Massimo Mosca, Nadia Riolo, Rita Maralla, Susanna de Guio, Valeria Spatafora, Vanina Lappa, e con Claudia Ventola, Giulia Frailich, Mario Marche, Marco Maiocco, Marta Ferretti, Simone Garibaldi.

Grazie al Comitato e agli inquilini del “1° Quartiere Operaio Umanitaria”, alla sezione Arci dell’Umanitaria e a Mario Gaeta, prezioso raccordo tra gli abitanti e il progetto Immaginariesplorazioni.


Per sapere di più su Isabella Bordoni:

[url”Clicca (francese)”]http://fr.wikipedia.org/wiki/Isabella_Bordoni[/url] oppure [url”Clicca (inglese)”]http://en.wikipedia.org/wiki/Isabella_Bordoni[/url]

Le fotografie sono di Marco Caselli Nirmal, per saperne di più:
Clicca (italiano)



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